

Sono tante le iniziative organizzate in ogni parte della Sicilia e in altre regioni del Paese in memoria del giudice Paolo Borsellino e dei 5 agenti di scorta (Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina) assassinati trent’anni fa nella strage di via D’Amelio, il 19 luglio 1992.
“La mia famiglia ha deciso di disertare le cerimonie ufficiali sulle stragi del ’92, non a caso mia madre non volle funerali di Stato, proprio perché aveva capito…. Uno Stato che non riesce a fare luce su questo delitto – ha detto Fiammetta Borsellino, in accordo con il fratello Manfredi– non ha possibilità di futuro”.
A trent’anni dalla strage di via D”Amelio, sono ancora tante le domande alla quale le istituzioni non hanno risposto, quelle stesse istituzioni che oggi commemorano la strage,non fanno nulla per fornire risposte a chi quella strage l’ha subita sulla pelle.
Non salva nessuno, la figlia del magistrato, anche se la catena è lunga. Non assolve nemmeno l’ex pm “antimafia” Ilda Boccassini, la prima tra i magistrati che operarono in quegli anni in Sicilia (fu applicata per due anni a Caltanissetta, dopo le stragi di mafia, dal 1992 al 1994) ad avanzare dubbi sulla genuinità delle parole di Scarantino. Aveva lasciato una relazione scritta al procuratore capo Tinebra, prima di tornare a Milano. A Fiammetta Borsellino questo non basta: “Io dico che se la Boccassini aveva qualche dubbio sul falso pentito Scarantino doveva fare una denuncia pubblica, così è troppo comodo. La Boccassini è quello stesso magistrato che ha autorizzato dieci colloqui investigativi di Scarantino a Pianosa e poi si è saputo che servivano a fare dire il falso a Scarantino con torture e minacce…”. La ex pm, conclude la figlia del magistrato, non avrebbe dovuto limitarsi a una “letterina”. Perché avrebbe potuto far esplodere il caso. Forse. O forse no, visti i tempi.
