La sporca guerra in Ucraina, che in 18 giorni di conflitto ha già seminato distruzione e fatto centinaia di morti tra i civili compresi moltissimi bambini, ha oggi provocato l’uccisione anche un giornalista, l’americano Brent Renaud.
I giornalisti che seguono le campagne di guerra e che sono in prima linea, in genere hanno una sorta di salvacondotto che li pone al riparo dal fuoco dei belligeranti.
Questa volta invece no: Brent che aveva 51 anni, con in tasca un vecchio badge del New York Times con cui aveva lavorato anni fa, era un giornalista freelance, uno di quelli tosti che vanno in giro a raccontare senza filtri, ciò che succede nei teatri di guerra.
Ciò che vedeva con i suoi occhi lo riportava nelle foto e nei video che girava: era stato in Iraq, in Afghanistan, in Libia, in Egitto, nell’isola di Haiti in occasione del terrificante terremoto. Per i suoi reportage in zone di guerra, Brent Renaud aveva vinto decine di premi.
Il fotoreporter è stato ucciso dalle forze di invasione russe, stamani a Irpin – pochi chilometri da Kiev – mentre filmava i profughi in fuga, ad un check-point.
Colpito al collo da una sventagliata di mitra pare sia morto sul colpo: il racconto del fatto, è stato riportato da un collega il quale narra che si trovavano in auto e che superato il posto di controllo i soldati russi hanno iniziato a sparare, nonostante che l’autista avesse fermato la macchina e fatto anche retromarcia.
La vicenda tristissima, è di una gravità assoluta: anche le guerre, seppure aberranti, hanno le loro regole che in questo caso sono state infrante. L’uccisione di Brent ad opera della Russia di Putin – come altre volte già avvenuto nella storia recente – assume i connotati di un vero atto terroristico da Stato canaglia, un atto aberrante, cercato e voluto.
Alberto Porcu Zanda