Istituito dalle nazioni Unite nel 2005, il ‘Giorno della Memoria’ si celebra il 27 gennaio, data in cui nel 1945, l’esercito russo entrò nel campo di sterminio di Auschwitz, liberandolo.
Giorno che è diventato un simbolo per ricordare la persecuzione razziale e politica, lo sterminio del popolo ebraico, di persone di etnie rom, disabili, omosessuali e neri.
L’aberrante disegno nazista della pulizia etnica a favore della razza eletta iniziato nel 1933, durò 12 anni producendo fino al 1945 il genocidio di ben 15 milioni di individui.
Quella lontana data del 27 gennaio di 78 anni fa, in cui si aprirono le porte del lager nazista, fu proprio un momento di cesura e di stacco tra un prima ed un dopo nella storia, fondamentale per onorare i morti ma anche chi, quei derelitti perseguitati, ha difeso e salvato opponendosi alla furia omicida tedesca.
Parlare di un così doloroso passato che ha causato l’immane olocausto, come insegna il comando di Primo Levi “meditate che questo è stato“, è un’occasione mai retorica ed inutile per una riflessione in più ed ognuno di noi può farlo; in questo modo, memoria della Shoah può diventare anche la testimonianza di quanto visto con i propri occhi e percepito semplicemente con una visita esperienziale in uno di quei luoghi dell’orrore.
E’ forse poco noto che, oltre ai tanti lager nazisti di sterminio presenti in quegli anni sul suolo europeo, siano esistiti anche in Italia a partire dal 1943, ben 5 campi di detenzione e transito per prigionieri che venivano poi deportati nei più grandi campi di sterminio situati sul territorio germanico o nei territori sotto occupazione nazista della Polonia: Sparanise ed Afragola in Campania, Bolzano in Trentino, Fossoli in Emilia Romagna e San Sabba a Trieste.
Mi è capitato appena qualche giorno fa, di visitare la Risiera di San Sabba, un luogo da brivido, carico di memoria e commozione che, complice una serata di fitta pioggia, è apparso se possibile ancora più cupo e tetro.
Tristemente noto come un vero e proprio campo di concentramento nazista, San Sabba è stato anche il set della famosa pellicola di Roberto Benigni ‘La vita è bella’; dal 1965 è stato istituito monumento nazionale, poi a partire dal 1975 è divenuto anche museo civico della resistenza e dell’olocausto.
Quello che passò poi alla storia come lager, in realtà era sorto con tutt’altro scopo: costruito nel 1898 nel rione di San Sabba nell’allora estrema periferia di Trieste, il complesso di edifici deve il suo nome ‘Risiera’, all’attività che all’interno di esso veniva eseguita, cioè la pilatura del riso detta anche sbiancatura, per trasformare il risone originario in riso commerciale commestibile.
Nel 1943, fu trasformato dagli occupanti nazisti inizialmente in un campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre, successivamente venne strutturato come campo di detenzione di polizia destinato sia allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia che al deposito dei beni razziati; oltrechè luogo di detenzione ed eliminazione di ostaggi partigiani, di detenuti politici ed ebrei e perseguitati per religione come i testimoni di Geova.
Ideato dalla ferocia nazista come mero centro di smistamento di detenuti, la Risiera si tramutò ben presto in un vero e proprio luogo di morte: si stima, sulla scorta delle testimonianze storicamente raccolte, che in quella tetra struttura furono giustiziate tra le 3000 e le 5000 persone, mentre un numero ben maggiore sono stati i prigionieri e i ‘rastrellati’ passati dalla Risiera e da lì smistati nei lager.
A San Sabba, il sistema di soppressione delle vittime era la fucilazione, l’impiccagione, l’uccisione con un colpo di mazza alla nuca o l’avvelenamento che avveniva con sistemi rudimentali, attraverso i gas di scarico di furgoni appositamente attrezzati.
Nella Risiera era anche presente una sorta di forno crematorio (dapprima era un essicatoio per il riso) che venne utilizzato per bruciare i cadaveri: dal 6 aprile 1944 fino alla data della liberazione, furono cremati i corpi di oltre 3500 prigionieri. Cecilia Doganutti e Virginia Tonelli entrambe partigiane, ebbero la triste sorte di venire giustiziate con cremazione da vive.
La visita alla Risiera è un’esperienza toccante ed inquietante: il complesso, è un quadrilatero di incombenti edifici, ridotti a degli scheletri dove tutto è sostanzialmente rimasto invariato.
Il primo approccio agli occhi del visitatore è un corridoio d’ingresso alto e lugubre, poi nel sottopassaggio è visibile il primo stanzone posto alla sinistra denominato ‘cella della morte’ vuoto e pieno di graffiti.
In questo enorme vano venivano stipati i prigionieri destinati ad essere uccisi e cremati nel giro di poche ore. A seguire, sempre sulla sinistra al pianterreno dell’edificio a tre piani, vi erano i laboratori di sartoria e calzoleria, dove venivano impiegati i prigionieri, nonché camerate per gli ufficiali e i militari delle SS; sono ben conservate le 17 micro-celle in ciascuna delle quali venivano ristretti fino a sei prigionieri: secondo le ricostruzioni storiche, tali celle erano riservate ai partigiani, ai politici, agli ebrei, destinati all’esecuzione a distanza di giorni, talora settimane; le due prime celle venivano usate a fini di tortura o di raccolta di materiale prelevato ai prigionieri e proprio qui sono stati poi rinvenuti migliaia di documenti d’identità, sequestrati non solo ai detenuti e ai deportati, ma anche ai lavoratori inviati al lavoro coatto.
Nel successivo edificio a quattro piani venivano rinchiusi gli ebrei e i prigionieri civili e militari destinati per lo più alla deportazione in Germania, uomini, donne e bambini anche di pochi mesi che finirono la loro esistenza con la deportazione a Dachau, Auschwitz, Buchenwald e Mauthausem.
Sul lato di fondo del cortile, ciò che manca ai giorni d’oggi è solo il forno crematorio; accadde infatti che nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945 nel tentativo di eliminare le prove dei loro crimini, i nazisti in fuga lo fecero saltare con l’esplosivo; sulla base del forno, nelle sue rovine, furono poi ritrovate ossa e ceneri umane. Oggi ad onorare quel luogo di sofferenza e di morte, al suo posto si trova una stele commemorativa che ricorda la presenza della ciminiera.
Sul lato opposto incombe il fabbricato centrale, di sei piani che era adibito a caserma per i militari SS germanici, ucraini e italiani, questi ultimi impiegati in Risiera per funzioni di sorveglianza; oggi il piano terreno di questo edificio ospita il museo della Risiera.
I responsabili del lager, accusati di omicidio plurimo aggravato e continuato, Joseph Oberhauser comandante della Risiera ed il suo superiore August Dietricht Allers, furono processati da un tribunale italiano ma non scontarono mai la loro pena: Allers morì nel marzo del 1975 prima della fine del processo, Oberhauser condannato in contumacia, non fu mai estradato dal momento che gli accordi italo-tedeschi sul punto, prevedono l’estradizione solo per crimini commessi dopo il 1948; rimase libero, lavorando in una birreria di Monaco di Baviera, fino alla sua morte avvenuta a 65 anni il 22 novembre 1979.
La vera condanna per chi si è macchiato di simili crimini può e deve essere solo l’attenzione al ricordo, la volontà di non dimenticare, la memoria che possa raccontare ancora una volta e sempre, il passato buio di quegli anni perchè nulla di quelle orribili nefandezze abbiano più a ripetersi in futuro.
APZ