I migranti fanno vacillare l’élite europea. Merkel barcolla, i Visegrad smentiscono l’accordo

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Migranti – La Csu bavarese guidata da Horst Seehofer incalza a destra, mentre lo Spd colpisce da sinistra. In mezzo, le sorti della cancelliera, che ha di

recente inviato una lettera ai suoi alleati in cui li avvertiva di aver raggiunto un accordo con 14 paese dell’Unione europea per i rimpatri di coloro che si erano registrati in quegli Stati come richiedenti asilo e che poi erano arrivati in Germania.

L’accordo è stato sostanzialmente imposto dal ministro dell’Interno, Seehofer. O si arrivava a una soluzione europea sugli immigrati, oppure il ministro e leader della Csu avrebbe cominciato con i respingimenti Il tutto con il rischio di far cadere Angela Merkel nell’abisso della crisi di governo.

Ma l’accordo raggiunto dalla cancelliera con metà dei Paesi dell’Unione europea rischia di trasformarsi in una figuraccia. Frau Merkel ha voluto bypassare l’Europa e concludere accordi bilaterali con gli altri governi. E l’ha fatto, rendendo ormai chiaro che l’Ue non è più considerata necessaria dalla stessa Germania. Ma la pioggia di smentite arrivate dall’Europa orientale, dai ribelli del Gruppo di Visegrad, è una tegola importantissima sulla tenuta di questa politica tedesca.

Perché proprio quando sembrava che questo accordo avesse messo nel congelatore la crisi nei rapporti fra Merkel e Seehofer, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria hanno negato di aver concluso un accordo con la Germania. E la smentita rabbiosa di questi tre governi rischia di essere un colpo durissimo nei rapporti fra Cdu e Csu.

Le prime smentite ufficiali erano arrivate da Praga e Budapest. “Questa notizia allarmante è un’assurdità”, aveva detto il premier ceco, Anderj Babis, aggiungendo: “la Germania non si è rivolta a noi e in questo momento non firmerei un accordo del genere”.

Parole non troppo diverse quelle del portavoce del governo ungherese, Zoltan Kovacs: “Un accordo del genere non è stato raggiunto”. Mentre il portavoce di Viktor Orban, Bertalan Havasi, ha ricordato che la posizione del governo ungherese è chiara: “nessun richiedente asilo può entrare in territorio ungherese se questo richiedente asilo è già entrato in Grecia o in un altro Stato membro”. Anche se, va detto, non è questa l’ipotesi paventata nell’accordo.

Oggi è arrivata anche secca smentita della Polonia. “Non c’è nessun nuovo accordo per l’accoglienza di richiedenti asilo provenienti da altri Paesi dell’Unione europea. La Polonia porta avanti una politica di asilo molto rigida e non la cambieremo”, ha dichiarato ad Afp il portavoce del ministero degli Esteri polacco, Artur Lompart. Lo stesso portavoce ha poi ricordato l’unità d’intenti con gli altri Paesi del blocco: “Lo confermiamo proprio come la Repubblica Ceca e l’Ungheria“.

Le smentite di Visegrad pesano dunque come un macigno su questa stagione convulsa di Angela Merkel. Se la condicio sine qua non del mantenimento del governo erano questi accordi, è chiaro che la smentita del patto su tutto il confine Est della Germania è un pessimo segnale. Ma è anche vero che è buon gioco dei governi di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria smentire un accordo che, in fin dei conti, per loro non avrebbe avuto conseguenze disastrose.

Il contenuto della lettera parlava di rimpatri per i richiedenti asilo che si erano registrati come primo Paese di arrivo in uno di quei 14 Stati. A prescindere dalla figuraccia della cancelliera, i rifugiati che come primo Paese di approdo o registrazione hanno Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca sono pochissimi. La gravità, invece, è l’assenza di quei Paesi dove il numero dei migranti arrivati e registrati è molto più alta: in primis l’Italia.

I governo dell’Est smentiscono un patto che, al limite, sarebbe stata una cattiva mossa politica. Ma a livello di ordine pubblico e sistema d’accoglienza, avrebbe cambiato pochissimo. I problemi sono altri. Per Berlino, che si trova a giustificare le smentite degli altri Paesi Ue, impotente di fronte alla clamorosa sconfitta per una Merkel mai così debole in patria e in Europa. Dall’altro lato, l’assenza ingiustificata dell’Ue, che lascia che i Paesi si mettano d’accordo tra loro abbandonando altri al loro destino.

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