“Il mio tempo verrà!”. Così profetizzava un secolo fa Gustav Mahler, figlio di un oste, nato nello sperduto borgo boemo di Kalischt in una estate del 1860. Quelle quattro parole, “Meine Zeit wird kommen”, racchiudevano una verità tormentata: sarebbe arrivato il giorno nel quale tutti si sarebbero sentiti rappresentati, descritti e identificati dalla sua musica, capendo che essa è in loro da sempre. E il tempo di Mahler è arrivato anche al Teatro Lirico di Cagliari, che ha aperto la Stagione concertistica 2019 con un’entusiasmante esecuzione della Seconda Sinfonia “Resurrezione”, nell’ambito di un progetto dedicato, negli anni, all’integrale dei suoi lavori orchestrali. L’arduo compito di dirigere l’imponente e complessa partitura è toccato a Donato Renzetti, una certezza oramai per l’Orchestra e il pubblico cagliaritani (e sarebbe bello davvero vederlo, finalmente, nelle vesti di direttore stabile), che ha guidato gli ascoltatori in un viaggio in punta di bacchetta fra desolazione, disincanto e speranza, in una tensione esplosa in fragorosi e prolungati applausi subito dopo il possente accordo finale.
Una scommessa, quella di mettere Mahler come titolo di apertura, compositore di certo non facile – e la cui figura sarebbe interessante fosse fatta conoscere nelle sue sfaccettature-, spesso visto con diffidenza perché giudicato difficile per la difficoltà e lunghezza dei suoi lavori. Scommessa vinta, in questa occasione, e per fortuna: la Seconda Sinfonia è fondamentale per comprendere tutto il corpus mahleriano. Il compositore, neanche trentenne, è già padrone di un linguaggio maturo e consapevole, portando avanti il discorso sul senso della vita e della morte cominciato con la Prima Sinfonia “Il Titano”. Il primo movimento della Seconda Sinfonia si ricollega infatti al finale della Prima e alla figura dell’eroe, di cui Mahler celebra i funerali con una “Marcia funebre”; i tre movimenti centrali mirano alla riflessione e traghettano verso il movimento conclusivo, quello della agognata salvezza. La scelta di introdurre contralto, soprano e coro, gradualmente, proprio negli ultimi due movimenti non è casuale: Mahler sceglie di affidare le parole redentrici, dopo la lectio beethoveniana, dapprima ai testi tratti da “Die Wunderhorn” di Ludwig Achim von Arnim e Clemens Brentano, cantati dal contralto solista, e, infine, all’ode “Die Auferstehung – Resurrezione” di Friedrich Klopstock, intonata da soprano, contralto e coro intero. La tanto citata grandiosità mahleriana è sì, nell’organico (orchestra piena, organo, campane tubolari) e nell’espansione della forma (un’ora e venti di musica) ma soprattutto nella densità stilistica ed estetica, in una gamma espressiva efficace e di forza straordinaria.
Renzetti ha scelto di evidenziare l’intima unione della Sinfonia facendo scorrere la musica in un unicum senza soluzione di continuità (le pause fra i movimenti della serata di sabato sono state imposte dai ripetuti colpi di tosse degli ascoltatori) e, allo stesso tempo, ha evidenziato la stratificazione dei molteplici elementi con una escursione dinamica molto ampia, palese soprattutto nelle sonorità intermedie. L’Orchestra ha mostrato fin dalle prime battute una coesione e personalità encomiabili, consegnando questa esecuzione ai momenti da ricordare del Lirico cagliaritano, cominciando dal suono compatto dell’”Allegro maestoso” iniziale. Non si può non accennare all’ironia straniante dell’ ”Andante moderato”, nel quale le melodie popolari viennesi citate in partitura sono state interpretate non come un momento di spensieratezza, ma come un malinconico omaggio a un mondo musicale oramai perduto, in una tensione sottesa ben tenuta sotto controllo dai gesti ampi e avvolgenti di Renzetti.
Le fila sono state tirate ancora di più nella costante trama polifonica dello “Scherzo”, in un intreccio di percussioni incisive e precise (sezione da applauso, in questa prova così difficile) e melodie accennate dei legni (e anche qui grande encomio, sia alle prime parti che all’intera sezione) che ha consentito al pubblico di apprezzare pienamente la straordinaria gamma di colori prevista da Mahler e realizzata con grande puntualità espressiva. Nel movimento successivo, la calda voce del contralto Bettina Ranch ha portato la “Luce primigenia” in un’atmosfera ancora caotica con un’ intonazione salda e quasi commovente nella sua profonda sicurezza espressiva, perfetto preludio al grandioso Finale. Culmine ideologico e musicale del brano, l’ultimo movimento ha visto emergere dal magma del materiale musicale – dentro e fuori scena – la magnifica “Resurrezione”. La rinascita è stata graduale e la voce parca e dal timbro tondo e controllato di Valentina Farcas ha contribuito a un climax efficace. Il Coro diretto dal M° Sivo è stato dapprima ottima sponda e, in seguito, eccellente protagonista della scena, sebbene a volte le parole dell’accorato appello di Klopstock non risultassero perfettamente comprensibili. Ma l’emozione in sala era palpabile e, una volta concluso il “Risorgerai”, si è tradotta in lunghi applausi meritatissimi.
Ci sarà ancora Mahler in questa Stagione. Un consiglio: se tutte le serate saranno come questa, conviene davvero andare. Un balsamo per l’animo, una domanda che tutti si fanno e alla quale l’arte fornisce una labile ma sola risposta. Ne vale la pena, decisamente.
FRANCESCA MULAS