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Air Force Renzi, è scritto in un documento del ministero della Difesa, costa 150 milioni

Il capriccio di Matteo Renzi – un mega aereo di Stato a noleggio, l’Air Force Renzi – è riassunto in una cifra altrettanto mega: 149.557.812 euro. Il fiorentino ha lasciato Palazzo Chigi da

quasi una dozzina di mesi e non usufruisce del quadrimotore di proprietà di Etihad (già azionista al 49 per cento di Alitalia), ma il conto è arrivato in Parlamento soltanto in questi giorni sotto forma dei documenti sui contratti attivati dal ministero della Difesa nel 2016.

I 150 milioni dell’Air Force Renzi sono opportunamente “nascosti” in una tabella allegata – che proponiamo in pagina – “distrattamente” neppure presente all’interno del faldone pubblicato (si tratta del dossier CCXLV, cioè 245 in latino, che per legge deve essere diffuso ogni anno assieme al bilancio della Difesa). Oltre al costo per l’affitto, si scopre pure la durata dell’accordo con gli emiratini: sette anni, che scadono nel 2023.

Etihad ha consegnato l’Airbus 340-500 nel gennaio del 2016, dopo ripetuti interventi di conversione e riqualificazione del mezzo che ha effettuato il primo volo il 31 marzo 2006. La giustificazione dell’operazione è spiegata nel documento con la necessità di ottemperare alla normativa “Etops”, le limitazioni a cui sono sottoposti gli aerei commerciali quando sorvolano gli oceani. Ma è una menzogna: i quadrimotori commerciali non esistono quasi più. L’Alitalia, per dire, ne è sprovvista. Per colpa dell’azienda disastrata?

L’americana Delta Airlines, che ha oltre mille aerei in servizio, dispone di quattro quadrimotori, degli anziani Boeing 747, i Jumbo JetEtihad, su 124 aerei, solo 13. Il primo volo transatlantico su un bimotore risale addirittura all’aprile 1985 e venne compiuto da un aereo della Twa. Parliamo di 32 anni fa, dunque. Da Londra a Tokyo servono 12 ore di volo. La British Airways copre la rotta con dei bimotori Boeing 787 Dreamliner, il costo per ora di volo è la metà esatta dell’aereo di Stato.

Il quadrimotore turbofan, ritirato dal mercato nel 2011, subito ribattezzato Air Force Renzi, è talmente grosso che deve atterrare a Fiumicino e non a Ciampino, dove opera il 31° stormo dell’Aeronautica militare e dove sono parcheggiati gli aerei di Stato. Il fiorentino ha bramato a lungo l’anacronistico Airbus per le traversate oceaniche, le riunioni ad alta quota, soprattutto con le connessioni internet a bordo, ma per aggirare le polemiche (e la trasparenza) ha costretto il governo a secretare i contratti e non l’ha mai neanche utilizzato per non danneggiare la campagna elettorale sul referendum costituzionale.

L’Airbus 340-500 con le insegne provvisorie della Repubblica italiana, dopo un anno e mezzo di rullaggi tecnici e addestramenti del personale, ha esordito in una trasferta negli Stati Uniti e in Canada dell’aprile 2017 con Paolo Gentiloni presidente del Consiglio. In sostanza: per un quinto del tempo del noleggio, l’Italia ha pagato Etihad senza usare l’Air Force Renzi, se non – va ricordato – per una missione del sottosegretario Ivan Scalfarotto a Cuba. L’ex premier ha sempre negato spese folli per l’Airbus, confidando sulla riservatezza nella triangolazione Difesa-Etihad-Alitalia. Ma già nel 2016, invece, una “nota aggiuntiva” del ministero di Roberta Pinotti segnalava un aumento del 622 per cento sul 2015 delle “funzioni esterne” per i voli di Stato: 15 milioni di euro, come rivelò il Fatto, forse serviti per la manutenzione straordinaria del velivolo. Denaro che si perde, non è mica un investimento.

Nel 2023, per l’appunto, l’Italia dovrà restituire l’Airbus a Etihad dopo aver saldato rate per 149 milioni, più gli eventuali extra. E pensare che nel 2011, l’ultima stagione di produzione per un esemplare quadrimotore del costruttore franco-tedesco, per un aereo nuovo si spendevano 261 milioni di dollari. Appurato che un velivolo di queste dimensioni non serve se non a soddisfare delle manie di grandezze, una possibile “motivazione” è che sia una sorta di favore per risarcire Etihad dell’impegno in Alitalia. Fu proprio Renzi a sollecitare il soccorso di Abu Dhabi per salvare l’ex compagnia di bandiera italiana.

È andata come coi capitani coraggiosi di Silvio Berlusconi: Alitalia è al collasso e in svendita.

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