Il vaccino anti Covid funziona e protegge anche le persone con malattie autoimmuni e non si rileva alcuna differenza di efficacia tra soggetti sani e persone con malattie infiammatorie immunomediate in terapia per quanto riguarda la risposta al vaccino a mRNA anti-Covid-19. La conferma arriva da un importante studio di Azienda ospedaliero-universitaria e Università di Cagliari.
Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Clinical and Experimental Medicine, è frutto del lavoro di diversi medici e ricercatori, in particolare Luchino Chessa, Davide Firinu, Stefano Del Giacco e Marcello Campagna (Dipartimento di Scienze Mediche e Sanità Pubblica), Andrea Perra (Scienze Biomediche), Roberto Littera, medico immunogenetista afferente alla SC di Genetica Medica del Binaghi e Ferdinando Coghe, direttore sanitario e direttore del Laboratorio Analisi Chimico Cliniche e Microbiologia dell’AOU di Cagliari.
«I soggetti immunodepressi – spiega Luchino Chessa – sono considerati fragili per il maggior rischio di infezione e per le possibili gravi complicanze. Per questo sono stati inseriti come categoria prioritaria nel calendario vaccinale nazionale anti-Covid 19». L’obiettivo degli scienziati cagliaritani era di capire se effettivamente il vaccino fosse efficace anche in questa fascia di popolazione.
La ricerca si è sviluppata nell’ambito dello studio Corimun, un ampio progetto condotto dai ricercatori dell’Università degli Studi di Cagliari che prende in considerazione la suscettibilità all’infezione da SARS-CoV-2 e la gravità del relativo quadro clinico nella popolazione sarda. L’obiettivo è stato di confrontare la risposta anticorpale alla vaccinazione per SARS-CoV-2 in soggetti con malattie infiammatorie immunomediate rispetto a persone sane.
Un aspetto di grande attualità legato al fatto che anche adesso, a quasi due anni dall’inizio della pandemia, molti pazienti con malattie infiammatorie immunomediate sono esitanti a sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid 19.
Lo studio ha dunque preso in considerazione persone con malattie infiammatorie immunomediate e operatori sanitari dell’Aou di Cagliari, sottoposti a partire da dicembre 2020 a vaccinazione con mRNA della Pfizer Comirnaty, con successiva determinazione del livello sierico degli anticorpi IgG anti-S-RBD del SARS-CoV2, eseguiti nel giorno del richiamo e poi successivamente uno e cinque mesi dopo.
Sono stati inclusi nello studio 551 soggetti sani naïve ad infezione da SARS-CoV-2 e 102 soggetti tra quelli affetti da Malattie Infiammatorie Immunomediate, con una analisi separata per quelli trattati con farmaci anti-CD20 come rituximab o ocrelizumab, usati in alcune malattie autoimmuni sistemiche e nella Sclerosi Multipla.
Un mese dopo il completamento del ciclo vaccinale con due dosi, il 100% dei soggetti sani ed il 94% dei soggetti con malattie infiammatorie immunomediate mostrava una risposta anticorpale e questi ultimi avevano un titolo anticorpale significativamente ridotto rispetto ai controlli, sia nel giorno del richiamo che un mese dopo, mentre non vi erano differenze cinque mesi dopo.
Non sono state trovate differenze tra sottogruppi di patologie o in relazione al trattamento con immunosoppressori, corticosteroidi e farmaci biotecnologici diversi da quelli anti-CD20, un tipo di farmaci che agiscono interferendo con la risposta B-linfocitaria. Andando poi ad analizzare i pazienti in trattati con anti-CD20, la proporzione dei responders e l’ampiezza della risposta anticorpale era significativamente ridotta.
«La conclusione di questo studio di “real-life” – spiega Chessa – evidenzia per cui che non ci sono differenze sostanziali di efficacia tra soggetti sani e persone con malattie infiammatorie immunomediate in terapia per quanto riguarda la risposta al vaccino a mRNA anti-COVID-19, mentre rimane il problema dei pazienti che sono in terapia con farmaci che deprimono la risposta B-cellulare, ma la cui vaccinazione è in ogni caso consigliata».