“Bidibibodibiboo”,Teatro Massimo: Francesco Alberici mostra la sua visione del lavoro moderno

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Performance, darwinismo aziendale, life work balance. O addirittura mobbing. Francesco Alberici queste parole tipiche del mondo del lavoro moderno, le inserisce in “Bidibibodibiboo”, lo spettacolo andato in scena ieri al Massimo sotto l’insegna del CeDAC. Oltre a lui, sul palco ci sono Maria Ariis, Salvatore Aronica, Andrea Narsi, Daniele Turconi.

Si parte da un libretto offerto al pubblico da leggere in cinque minuti. In esso, è contenuto uno scambio di mail fra due fratelli. Da una parte un impiegato licenziato da una multinazionale che convenzionalmente “vende fiori”, dall’altra, un regista intenzionato a portare a teatro questa storia.

Omesso il nome dell’azienda, omessi gli accordi con l’ex dipendente e omesso anche il malessere del lavoratore, la piece parla di Pietro, laureato in Scienze Statistiche e appassionato di musica. Ad interpretarlo, con un un artifizio meta teatrale, è colui che lo conosce bene, ovvero suo fratello Daniele che cede, a sua volta, il suo ruolo ad un altro interprete.

Assodati i ruoli, tutto prende vita con un’intervista sulla falsariga di un talk show. Daniele intervista Pietro e ciò che ne viene fuori è la storia di un lavoratore non diversa da tantissime realmente in essere. Una laurea, un tirocinio mal pagato con la speranza di un’assunzione, una competizione costante con i colleghi alla ricerca degli obiettivi prestabiliti dai manager affamati di profitto. Poco importa se a lavoro si va in sneakers e tshirt e non hai un orario ben definito.

All’azienda interessano i risultati e se questi non arrivano, c’è la porta scorrevole della disoccupazione sempre aperta anche in virtù di un contratto a tempo indeterminato. A Pietro, con una proposta orale alle macchine del caffè, viene offerta una buona uscita in cambio delle dimissioni volontaria. A proporglielo è la sua manager che a sorpresa è anche la madre, la stessa che ha “fortemente suggerito” a lui e a suo fratello di studiare materie economiche piuttosto che discipline artistiche. E’ lei che spinge, nell’ottica dell’aziendalismo più sfrenato, a rinunciare a qualsiasi rivalsa convinta che suo figlio sarebbe stato comunque il soccombente.

Un ricatto mascherato o più semplicemente quello che oggi viene chiamato “mobbing”. Una sudditanza psicologica che spesso trova terreno fertile quando è lo stesso lavoratore a non volerlo ammettere. Con un’ulteriore giravolta teatrale, la scena torna alla volontà di Daniele di raccontare la storia. Il vero Pietro si presenta nella zona prove chiedendo al fratello di fermare tutto. Per lui, l’idea di rappresentare un fallimento a vantaggio del teatro non è una cosa di cui essere orgogliosi ma Daniele non intende fermarsi.

“Il lavoro non è tutto” dice Pietro al fratello intenzionato a non fermarsi considerato le tante aspettative sul suo spettacolo. E in questo frangente, pur avendo visioni contrapposte, i due rappresentano i ricatti che talvolta gravitano nel mondo del lavoro. Forse l’immagine di Maurizio Cattelan, scelta per lo spettacolo, è proprio l’emblema di un desiderio frantumato di una vita che fa a sponde fra sogni e bisogni.

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