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Birmania : Aung San Suu Kyi e la lunga marcia

L’accoglienza che le hanno riservato la stampa, i suoi « partigiani » e la folla in una scuola di Rangoon trasformata in seggio elettorale per le elezioni legislative birmane, ha ancora una volta confermato che Aung San Suu Kyi non è più solamente una donna politica: le sue apparizioni in pubblico fanno di lei una sorta di rock star, oggetto di una venerazione sbalorditiva.

Quando, intorno alle nove di domenica 8 novembre la sua automobile è arrivata nella piccola scuola del quartiere residenziale situata nei pressi della sua vecchia dimora coloniale nella quale ha trascorso quindici anni agli arresti domiciliari durante la dittatura militare, si è assistito ad una sorta di follia collettiva : con difficoltà, protetta dalle sue guardie del corpo, circondata da numerosissimi reporter e « idolatri » che brandivano cellulari, tablet, macchine fotografiche e telecamere, il Premio Nobel per la Pace è comunque riuscita a penetrare nel seggio. Ne è uscita qualche minuto dopo con l’indice macchiato dell’inchiostro nero, prova che “la votante aveva votato”.

Nelle prime elezioni libere dal 1990, alle quali hanno partecipato oltre l’80% della popolazione, la “Lady” è data favorita. I risultati definitivi sono attesi per i prossimi giorni.
Ma già stamattina, alle 7,20 si comunicava che il partito di Aung San Suu Kyi ha riportato una vittoria folgorante con oltre il 70% dei seggi al Parlamento birmano.

Adesso tutto finisce e tutto inizia contemporaneamente per Aung San Suu Kyi. La “Lady” , come la chiamano i birmani da quando il suo nome è stato messo al bando dai Generali che la odiano, è alle porte del potere. Il suo partito, “La Lega Nazionale per la Democrazia (LND), sembra in grado di riportare le prime libere elezioni dal 1990, ma questa vittoria non ha il sapore delle grandi serate elettorali per « l’eterna oppositrice » birmana: è la fine di una lunga marcia, ma soprattutto l’inizio di un viaggio tumultuoso in una Birmania in transizione che non ha conosciuto né coabitazione, né alternativa di Governo dal colpo di Stato dei Generali del marzo 1962.

A 70 anni, la « Dama di Rangoon » inizia una nuova vita senza la promessa di un incantevole “domani”, poiché l’attende una missione quasi impossibile: dirigere un Paese tormentato dai suoi conflitti etinici e religiosi, gravemente in crisi sul piano economico e democratico, in guerra ai suoi confini con gli eserciti ribelli, un Paese in cui un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà ed in cui il 25% dei parlamentari sono degli ufficiali nominati dall’esercito. Di fronte ad una tale sfida e più che certa della sua vittoria, Aung San Suu Kyi non ha mai battuto ciglio e ha dichiarato: «Dirigerò il Governo e avremo un Presidente che lavorerà in sintonia con la politica della “LND”.

Per il momento, tuttavia, Aung San Suun Kyi non può svolgere questa funzione poiché la costituzione birmana vieta ad ogni candidato avente un congiunto o dei figli di cittadinanza straniera, di assumere la responsabilità di Governo. Una norma che sembra essere stata scritta proprio contro la Premio Nobel per la Pace, oggi vincitrice delle elezioni legislative. Aung San Suu Kyi è infatti vedova di un docente universitario britannico, Michael Aris , con cui ha avuto due figli. Ma lei sembra aver trovato la soluzione ed ha affermato: “Sarò al di sopra del presidente” «E’ totalmente irresponsabile, nessuno può essere al di sopra del presidente in un Paese a regime presidenziale. Qual è l’obiettivo di questa « uscita » che può inutilmente inquietare il campo di fronte ?” si interroga Khin Zaw Win, ex prigioniero politico e oggi direttore dell’Istituto di ricerca Tampadipa. “E’ segno di una grande presunzione che inquieta sulle reali capacità della « LND » di dirigere questo Paese. Ancora oggi, Aung San Suu Kyi resta irrealista.» Numerosi sono quelli che la vedono, nei prossimi mesi, presiedere l’ Assemblea nazionale, alla testa del Ministero degli Affari Esteri oppure super ministro nell’ “entourage” del presidente. «Noi dobbiamo imparare a collaborare con i militari e iniziarci ad una cultura del dialogo e della ripartizione del potere», afferma la candidata della “LND”, Zin Mar Aung.

Aung San Suu Kyi dovrà, lei stessa, intraprendere un processo di cambiamento sia politico che simbolico. Dalla sua elezione all’ Assemblea del 2012, la sua aura di “madonna della democrazia” si è un po’ offuscata. Pare, infatti, che la Lady non abbia particolarmente brillato in parlamento e una parte della società civile birmana e della comunità internazionale le rimproverano le sue prudenze, se non addirittura i suoi silenzi sulla sorte dei prigionieri o delle diverse comunità musulmane, vittime di pulizia etnica. «Può essere ambigua, intransigente, autoritaria » raccontava nel 2012 un diplomatico francese che l’ha spesso frequentata. “ Spesso mostra più comprensione nei confronti degli ex militari che dei suoi ex partner politici». Guai a quelli che tradiscono o che non obbediscono. Risultato, la Lega Nazionale per la Democrazia ha tardato ad aggiornarsi. La LND è rimasta prigioniera di una cultura d’opposizione, devota alla figura tutelare di Aung San Suu Kyi. Agli occhi dei birmani, la Dama di Rangoon resta la « madre coraggio » che ha sacrificato la sua libertà e la sua stessa famiglia.

Aung San Suu Kyi si è tuffata nel « calderone birmano» nel 1988. Prima di allora, conduceva una vita tranquilla da studentessa seria, poi di madre e di docente universitaria impegnata fra gli Stati Uniti, l’ India, il Giappone e la Gran Bretagna. Poi, nel mese di marzo 1988, Aung ritorna a Rangoon per assistere l’anziana madre, vittima di un attacco. Il Paese è infatti a ferro e fuoco contro il carovita e contro la giunta militare. Un gruppo di giovani attivisti contatta Aung San Suu Kyi, «portatrice nel suo sangue del destino del Paese», scrive il politologo Renaud Egreteau, poiché la giovane Aung è la figlia di Aung San, il padre dell’indipendenza, assassinato nel 1947. Il 26 agosto 1988, parla a centinaia di migliaia di birmani: «In quanto figlia di mio padre, non potevo restare indifferente a quel che succede qui », disse, prima di parlare del suo «profondo attaccamento alle forze armate».

Successivamente lancia un appello per la tenuta di «elezioni giuste e libere». Quel giorno, un duello comincia alla pagoda “Shwedagon”» fra la giunta militare paranoica e la tenace oppositrice. Gli anni seguenti saranno una successione di periodi di carcerazione, di arresti domiciliari al 54, avenue de l’ Université e di rimessa in libertà. La « Lady » è minacciata di morte, insultata, privata dei diritti civili e di voto. Rifiuta di lasciare la Birmania quando suo marito agonizza a causa di un cancro, a Londra, temendo che i Generali le impedissero di tornare. La liberano nel mese di novembre 2010, dopo aver organizzato una parodia di elezioni legislative e dopo aver blindato il sistema costituzionale. Poi, procedono all’apertura del regime, sciogliendo la giunta nel mese di marzo 2011. Contro ogni aspettativa, un inizio di « primavera birmana » è condotta da ex militari che decidono di reintegrare la “Dama di Rangoon” nel loro cenacolo. Ora, se la sua vittoria sarà confermata, Aung San Suu Kyi dovrà dirigere il Paese a partire da lì, dopo 27 lunghi anni di opposizione.
Nell’attesa dei risultati che dovranno confermare la vittoria della LND, il partito della “Lady”, gli elettori hanno sin d’ora, con il loro voto degno di un plebiscito, confermato il principio del suffragio universale : 80% dei trenta milioni di persone aventi diritto al voto si sono resi alle urne nello storico giorno del primo vero libero scrutinio dopo oltre un quarto di secolo.

Il presidente dell’Usdp, il partito del presidente birmano Thein Sein, ha ammesso la sua sconfitta dichiarando che accetterà il risultato delle elezioni, le prime libere in 25 anni. “Abbiamo perso”, ha dichiarato Htay Oo. Lo spoglio delle schede è ancora in corso e non sono stati annunciati risultati ufficiali, ma i primi dati ancora parziali indicano un ampio margine di vittoria per la Lega Nazionale per la Democrazia della ‘pasionaria’ birmana.

“Dobbiamo capire le ragioni per cui abbiamo perso”, ha aggiunto, Htay Ooo, stretto alleato del presidente Thein Sein. “In ogni caso accettiamo il risultato senza alcuna riserva”. Htay Oo si è detto inoltre sorpreso dell’entità della sconfitta subita nella sua circoscrizione, a Hinthada, nel delta della regione, considerata la roccaforte del sostegno di base al partito. “Non me l’aspettavo perché avevamo fatto tantissimo per le genti di quella regione. In ogni caso è una decisione del popolo”.

Marisa Corazzol

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