La seconda giornata del Festival letterario dell’Archeologia non tradisce le aspettative. Il teatro all’aperto di Tharros sembra ispirare sempre di più i protagonisti di una rassegna che fin dai primi attimi sta regalando momenti indimenticabili grazie alla varietà dei temi affrontati e alla vivacità intellettuale degli autori. Ci si diverte e ci si emoziona in questo viaggio intenso proposto dalla Fondazione Mont’e Prama per un’estate di festival, spettacoli e concerti nel cinquantesimo anniversario dalla scoperta dei primi Giganti. La profezia dello straniero (Giunti) di Melania Muscas apre una serata ricca di suggestioni letterarie e di riflessioni. L’autrice, nel dialogo con Franca Rita Porcu, tratteggia un romanzo davvero unico, nel quale la struttura e le atmosfere del Trono di Spade si fondono con gli elementi del folklore sardo. È il primo capitolo di una trilogia fantasy in cui la storia antica funge da ispirazione per creare un universo unico. Nelle acque del Grande Verde sorge un’isola dominata da un antichissimo popolo: Sherden. Qui Arvara, sacerdotessa nelle cui vene scorre il sangue delle janas, le donne immortali che per prime hanno abitato queste terre, ha il dono di leggere nel futuro. E la profezia che annuncia è catastrofica: tre eventi rovinosi cancelleranno per sempre la civiltà shardana. La storia si dipana in un intreccio di personaggi le cui vicende vengono seguite insieme ai loro destini in una storia appassionante che lascia i lettori con il fiato sospeso fino all’ultima parola. Un libro capace di entusiasmare non solo gli amanti del genere fantasy ma anche i lettori più identitari che credono nei miti della Sardegna. Il secondo momento della serata è dedicata a Paradisi proibiti. Storie di sesso, alcol e droga nelle opere d’arte (Giunti). Nel dialogo con il direttore artistico del Festival, il giornalista Giovanni Follesa, Claudio Pescio ha spiegato le ragioni di un volume dove le opere d’arte sono le assolute protagoniste. Tutte comprese in un periodo che sta tra il Quattro-Cinquecento e la modernità, le opere mettono insieme scene curiose, scandalose, bizzarre, enigmatiche che sfuggono alle classificazioni abituali. Provocatorie, ambigue e reticenti, le immagini scelte dall’autore in realtà raccontano storie, e sollecitano riflessioni che vanno oltre il contesto strettamente storico-artistico. “La curiosità per ciò che sta dietro alle opere d’arte – in particolare per quanto ha a che fare con la vita delle persone, con la mentalità, i problemi con la morale corrente e la censura, il desiderio di libertà e di esperienze, di infrangere le regole – ha portato quasi automaticamente a delimitare il campo, per questo libro, a soggetti e singole opere che avessero attinenza con tre ambiti marginali nell’ambito dei “grandi” generi artistici ma in qualche modo fra loro confinanti: il sesso, l’alcol e le droghe”. Può esistere una destra di sistema che non recida le proprie radici né corra il rischio d’inseguire la sinistra in ritardo? Alessandro Giuli, nel pamphlet Gramsci è vivo (Rizzoli), prova a dare una risposta e affronta la contesa delle idee per costruire un progetto in divenire: rendere possibile dichiararsi «i più progressisti fra i conservatori». Affinché la nuova destra possa transitare dall’epica trasfigurata del Signore degli anelli per entrare nella realtà, come diceva Carlo Rosselli: «nell’era del ferro e del fuoco». Nel dialogo con Anthony Muroni, vengono affrontati i temi della più stretta attualità politica attraverso un itinerario culturale senza reticenze né complessi di inferiorità o sindromi di grandezza, ma, come scrive l’autore, «libertario e liberatorio al contempo. Come la destra che vorrei». Dalla celebrazione della Costituzione italiana alla vocazione sociale delle arti, dalla polemica contro la cultura woke al superamento del sovranismo; dal ritorno alla politica come fatica dello spirito alla ricerca di un nuovo umanesimo digitale e comunitario; dalla missione euro-mediterranea dell’Italia alla costruzione d’un racconto dinamico dell’identità nazionale. La seconda giornata del festival si è chiusa con il reading spettacolo di Syusy Blady tratto dal volume La dea che creò l’uomo. Dai miti sumeri un’ipotesi sorprendente (Uno Editore). L’autrice, attraverso una ricerca approfondita, dimostra che “Dio non è un uomo con la barba, ma una donna, una dea in carne e ossa, forse molto in carne: Ninmah”. Una genetista che con grande perizia riuscì a fare l’uomo, divenendo la genitrice di tutti noi. Dopo di lei Inanna, dea dell’amore e della guerra, tentò la scalata al potere, ma fu ridotta al silenzio. Dopo anni di indagini e viaggi, alla ricerca della dea nel mondo, prendendo in esame i miti sumero/accadici, Syusy Blady arriva a questa conclusione tra le teorie sulla dea madre e le ipotesi sugli antichi astronauti. Dio, all’inizio, era una Dea, la Dea Madre, la Dea dai mille nomi e dai mille volti.
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