Al centro culturale Hermaea sabato 11 settembre si parla di storie di famiglia, di giusti e di infami durante le persecuzioni razziali in Italia. È la storia di due famiglie ebraiche, una salvata dai “giusti” e l’altra condannata dagli “infami”. Un racconto sull’ebraismo, sull’identità e la memoria racchiuso in un libro. Sabato 11 settembre alle 19 al centro culturale Hermaea di via Santa Maria Chiara 24/A a Cagliari/Pirri, la scrittrice di origini ebraiche Lia Tagliacozzo presenta “La generazione del deserto. Storie di famiglia, di giusti e di infami durante le persecuzioni razziali in Italia” (Manni Editori, 2020).
L’iniziativa rientra fra le anteprime per la promozione della lettura del Festival Premio Emilio Lussu – VII Edizione, e vedrà l’autrice dialogare con Alessandro Macis, direttore del FPEL e presidente dell’associazione culturale L’Alambicco, che organizza l’evento in collaborazione con l’associazione culturale Hermaea. Partner dalla manifestazione sono l’Associazione La macchina cinema, Libreria Mieleamaro, BookCiak Magazine e Unica Radio.
Lia Tagliacozzo è ebrea, figlia di due sopravvissuti alla Shoah. Quando nel 1938 vennero promulgate le leggi razziali i suoi genitori erano bambini. Il padre si salvò per caso da una retata e restò nascosto in un convento per tutti i mesi dell’occupazione. La madre invece si rifugiò in un casolare di campagna e poi, dopo la fuga attraverso le Alpi, in un campo di internamento in Svizzera.
Ma di tutto questo a casa di Lia si è sempre parlato poco: “Nella mia famiglia le storie della guerra sono sempre state taciute – ha spiegato –. Per tutta la mia infanzia e la prima età adulta la loro ricostruzione ha richiesto anni di scoperte occasionali, di orecchie tese a cogliere indizi ed esplorazioni clandestine nelle carte di casa”.
Lei da sempre ha tentato di ricostruire la storia di famiglia cucendo insieme le poche informazioni, riempendo i buchi della memoria, indagando tra le omissioni e le rimozioni. Perché non è vero che le generazioni nate dopo la persecuzione sono pacificate e serene. Per la scrittrice è come se attraversassero un deserto, lo stesso deserto che nella Bibbia è una progressiva assunzione di responsabilità, la costruzione di uno spazio che lascia liberi gli interrogativi come possibilità di domandare cosa renda libero l’essere umano.