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Capo Frasca, 12 ottobre. “A Foras” spiega le ragioni della manifestazione

Il 12 Ottobre saremo a Capo Frasca, insieme agli altri 40 organizzatori della manifestazioni, anche per chiedere verità e giustizia su quanto accaduto in un poligono de quale si parla poco in termini di inquinamento e rischi per la salute. Di seguito alcune storie di militari e civili morti e ammalati durante il servizio a Capo Frasca, dove per decenni i residuati delle esercitazioni sono rimasti sul terreno senza alcuna bonifica, portando probabilmente all’inquinamento del terreno e delle falde acquifere sottostanti.

Nel 2011 la provincia di Oristano, allora a guida centrodestra, chiese formalmente un’indagine epidemiologica sul territorio circostante. Né le ASSL competenti, Sanluri e Oristano, né la Regione Sardegna né il governo italiano hanno mai dato seguito a questa richiesta.

“Porca miseria! A Capo Frasca, tra militari e civili, ce ne sono una ventina, gente, purtroppo, ammalata, gente che è morta, però nessuno mai ha fatto un’indagine”. Sono parole pesanti, quelle del Maresciallo dell’Aeronautica Militare, Francesco Palombo, pronunciate il 27 settembre 2018 di fronte alla Commissione di inchiesta parlamentare sull’uranio impoverito. Parole che non hanno avuto grande eco, ma che aprono degli scenari tremendi su quanto accaduto in passato nel poligono militare sito nel comune di Arbus. Una ventina, tra malati e morti di tumore, sia civili che militari: numeri altissimi, se si pensa che a Capo Frasca non ci sono mai stati molti dipendenti, una settantina circa. “A Capo Frasca facevo le bonifiche del poligono, tutto quello che c’era da bonificare. Per lungo tempo senza protezione e senza niente” spiega Palombo rispondendo alle domande di Giampiero Scanu, allora presidente della Commissione e del deputato Mauro Pili. “Io non sto cercando niente, non sto cercando soldi, come tante persone. Io voglio soltanto che si curi il personale, le famiglie che hanno subito, la gente ammalata. A Capo Frasca non è mai stata fatta un’indagine di questo tipo. Anche il personale civile che lavorava con me, che raccoglieva bombe, non sa perché è malato”. Non solo la raccolta delle bombe, l’alto numero di morti e malattie potrebbe essere legato anche all’acqua: “Perché in tutti questi anni ci hanno fornito acqua da non usare per usi umani? Perché?”. Quell’acqua Palombo non la beveva, ma “finiva nel caffè, nel minestrone, nella minestrina, nel brodo, nella frutta, dappertutto!”.

Quello dell’acqua è un problema che non cita solo Palombo. A novembre del 2014 le denunce arrivarono dal deputato di Sel Michele Piras: “23 lavoratori su 70 hanno contratto il cancro a Capo Frasca: 12 sono deceduti, 7 sono invalidi permanenti, a nessuno è stato riconosciuto l’indennizzo”. Per decenni l’approvvigionamento idrico del poligono è stato dato da pozzi artesiani, spiega Piras, nonostante si fosse stabilito già dal ’94 che quell’acqua non era potabile. Cosa c’era in quell’acqua, ci chiediamo noi? Sicuramente batteri, ma le falde sono soggette all’inquinamento dovuto all’azione delle piogge: se la terra di Capo Frasca era inquinata dalle esercitazioni, quell’inquinamento negli anni sarebbe finito dentro la falda. Lo dice anche Giovanni Madeddu, armiere a Capo Frasca tra il 1968 e il 1987: “Un fatto è certo, anche a Capo Frasca non è mai stata effettuata una vera bonifica del territorio, sono stati lasciati per venti-trent’anni i residui delle esercitazioni delle Forze armate di tutto il mondo. Ricordo soprattutto una radura, dove si accumulavano i proiettili. Quando pioveva si creavano dei pantani e l’acqua poi filtrava nel terreno. La stessa acqua che poi – attraverso un sistema di pozzi artesiani – veniva utilizzata per ogni uso nel poligono o nei vicini poderi. E in diversi casi l’Asl ha rilevato anomalie e impedito che venisse utilizzata per scopi alimentari”. Di casi ce ne sono tanti altri.

C’è per esempio la storia raccontata dall’ex aviere Angelo Piras. “Ho svolto il servizio militare nel poligono di Capo Frasca nel 1997, due miei compagni d’armi sono morti giovanissimi, per colpa di due tumori rarissimi. Sarebbe potuto succedere anche a me, ringrazio la fortuna e il cielo se io adesso posso raccontarlo. Lo faccio per i miei amici che non ci sono più” raccontava Piras a Paolo Carta, giornalista dell’Unione Sarda. I due commilitoni si chiamavano Gianni Faedda e Maurizio Serra, colpiti da tumori alle parti genitali e al cervello: morti subito dopo la leva. C’è la storia di Ignazio Porcedda, cagliaritano ammalatosi di leucemia linfatica cronica: “Ero di leva a Capo Frasca tra il 1975 e il 1976, bonificavamo senza alcuna protezione”.

C’è soprattutto una richiesta, negli anni passati, da parte della Provincia di Oristano di estendere l’analisi epidemiologica realizzata a Quirra anche al territorio intorno a Capo Frasca. Richiesta mai messa in pratica. Qualcuno ha qualcosa da nascondere?

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