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Corte Costituzionale: l’ergastolo ostativo è incostituzionale

Ha fatto molto discutere la recente pronuncia in tema di ergastolo ostativo, della Corte Costituzionale, che si è espressa riconoscendo il diritto alle concessioni premiali anche ai condannati per fatti di mafia e terrorismo.

Intanto, per fare chiarezza, cosa significa ergastolo ostativo? Con il termine ‘ergastolo ostativo’ si indica una pena senza fine che non concede al condannato alcuna possibilità di accedere a misure alternative al carcere ed a ogni beneficio penitenziario; quindi niente permessi premio, semilibertà o libertà condizionale, a meno che non si collabori con la giustizia. La pena dell’ergastolo ostativo anche nota con l’espressione ‘fine pena-mai’, coincide dunque per la sua durata con l’intera vita del condannato.

L’ergastolo ostativo, è bene ricordarlo, fu introdotto nell’ordinamento penitenziario italiano all’inizio degli anni Novanta, dopo le stragi nelle quali furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ed è regolato dall’articolo 4 bis dell’Ordinamento penitenziario.

La decisione della Corte Costituzionale, è arrivata in merito a due questioni di costituzionalità sollevate dalla Corte di Cassazione e dal Tribunale di sorveglianza di Perugia, relative alla posizione di due condannati per mafia all’ergastolo ostativo, a cui venivano quindi negati anche i permessi premio. La sentenza, sembra di capire dalla nota diffusa dalla Consulta, ha dichiarato: “L’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo”.

In parole semplici significa che d’ora in poi, la presunzione di ‘pericolosità sociale’ del detenuto non collaborante, non è da considerarsi più assoluta ma relativa e quindi, come tale, superabile dal giudizio della magistratura di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso dovrà basarsi sulle relazioni del carcere e sulle informazioni ed i pareri di varie autorità, (Procura antimafia o antiterrorismo o il competente Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica).

C’è chi dai banchi della politica – con opposti giudizi – ha definito questa storica pronuncia, ‘giusta’, ‘stravagante’, ‘indegna’; vi è inoltre chi ha ipotizzato che è stato fatto un regalo alla mafia e che i boss ora in carcere, torneranno a scorrazzare nelle strade; che simbolicamente, con detta decisione la Consulta ammazza una seconda volta Falcone e Borsellino; che bisogna evitare che si aprano indiscriminatamente le porte del carcere per mafiosi e terroristi ed ancora che è prevedibile una pressione dei mafiosi sui tribunali di sorveglianza.

Ma è davvero così, è tutto vero, o le parole sopra riportate descrivono scenari solo immaginari ed ipotetici?

Una analisi asciutta e scevra da interpretazioni di parte, ispirata alla comprensione letterale della pronuncia della Corte, porta a dire semplicemente, che sotto il profilo pratico e della sicurezza sociale si può e si deve stare tranquilli: la decisione, ha solo stabilito che toccherà al Giudice di sorveglianza decidere caso per caso sulla libertà personale del detenuto.

Ciò che è stato dichiarato incostituzionale, è il principio dell’automatismo di una disposizione generale; in altri termini, fino a questo momento il condannato all’ergastolo in quanto tale, non poteva – per norma generale – usufruire di qualsivoglia beneficio penitenziario, mentre da oggi in avanti sarà il Giudice a decidere e valutare caso per caso, due fattori fondamentali per l’accoglimento di una richiesta di beneficio penitenziario: il fatto che il richiedente abbia un collegamento con la criminalità organizzata (attuale o potenziale) e che vi sia una concreta adesione ad un programma di riabilitazione.

La Consulta di certo ha ribadito un principio cardine, che è quello della centralità della Magistratura, dell’importanza del ruolo e delle decisioni del Giudice cui toccherà il compito di decidere caso per caso dopo aver esaminato e valutato le richieste pervenutegli; altrettanto certo, è il fatto che sia stato cassato il principio degli automatismi dell’art. 4 bis dell’Ordinamento penitenziario.

In buona sostanza, la Consulta con la pronunicia di incostituzionalità sull’ergastolo ostativo, muovendosi nel rispetto di principi cardine della suprema Carta, secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, (art. 27 comma 3) e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divieti di trattamenti inumani e degradanti, art. 3), ha ribadito quanto espresso recentemente dalla Corte europea per i diritti umani (CEDU), che aveva invitato l’Italia a rivedere la norma di disciplina dell’ergastolo ‘senza speranza’, ritenenuta non conforme alla Convenzione europea dei diritti umani, che proibisce ‘trattamenti inumani e degradanti’.

La Corte Costituzionale con la decisione di ieri, ha stabilito pertanto, che ergastolo non può essere mera vendetta, nè pena degradante lesiva della dignità del detenuto e che, per essere compatibile con i principi costituzionali, deve comunque sempre assicurare al condannato effettive possibilità di interruzione della detenzione.

Alberto Porcu Zanda

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