Urge un intervento legislativo volto a modificare l’art. 12 del decreto lavoro in via di conversione che fa dei disoccupati ‘di tutta l’erba un fascio’, senza alcuna distinzione tra coloro con titoli di studio conseguiti, oltre ulteriori corsi di formazione già frequentati, mirati ai disoccupati, e persone che hanno invece necessità di essere formate e seguite con un intervento di inclusione sociale. Ad appellarsi alla responsabilità del Governo e sollevare le ‘storture della norma’ è Elisabetta Caredda, 46 anni, della provincia del Sud Sardegna, che ha certificate le competenze in materia, quelle di tecnico di orientamento, conseguite dalla frequenza di un percorso di formazione per disoccupati indicatole proprio dal Centro impiego a lei di riferimento, in virtù del proprio bagaglio culturale acquisito anche in ambito di tematiche sul lavoro e politiche sociali.
“Ho sollevato il 23 maggio 2023 l’istanza a numerosi rappresentati del Governo – racconta Caredda -, ad iniziare dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la Ministra per il Lavoro Marina Elvira Calderonee tutti i componenti della commissione per il Lavoro, sia della Camera che del Senato.Ho chiesto che venga riconosciuta l’esperienza e la formazione dei disoccupati che già hanno pagato il sacrificio, anche in termini economici, di percorsi di formazione universitaria e corsi di qualificazione aggiuntivi o certificazioni di competenze, affinché sia consentita loro la piena autonomia nella scelta di percorsi ulteriori, senza vincoli a quelli rientranti nel Programma nazionale per la Garanzia occupabilità dei lavoratori (GOL) gestiti dalle Regioni”.
“Ed ho chiesto inoltre legittimamente – sottolinea la professionista attualmente disoccupata – un intervento mirato anche a riconoscere nei progetti utili alla comunità (PUC) una equa retribuzione, in termini propriamente contrattuali, per le ore prestate dai disoccupati con alti titoli di studio (oltre i corsi di formazione ulteriore) dei quali Comuni e enti pubblici vorranno avvalersi, avvantaggiandosi di risorse formate, e dove non può trovare significato l’assegnazione di un sussidio senza diritti contrattuali alcuni”.
“I disoccupati hanno diritto a vedersi riconoscere la propria dignità – evidenzia Caredda –, non bisogna approfittarsi della fragile condizione economica delle persone oscurando le complesse problematiche nel ‘sistema’ del mondo del lavoro. Ho ricordato al Governo italiano che la legge n° 354/1975 riguardo l’Ordinamento penitenziario (o. p.) assicura un’occupazione lavorativa persino ai detenuti (si riconosce anche a loro la dignità umana, il trattamento rieducativo), e che agli stessi che decidono di lavorare è garantita una remunerazione, il diritto alle ferie, ad assenze per malattia retribuite, a contributi assistenziali e pensionistici (Link: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_3_0_3.page# )”.
“Dal momento in cui i disoccupati con alti titoli di studio (oltre i corsi di formazione ulteriore) sono quindi obbligati a svolgere per Comuni ed enti pubblici coinvolti nei PUC delle prestazioni – continua la professionista disoccupata -, di fatto si parla di prestazioni a carattere ‘lavorativo’ o di ‘consulenza’. E che tali prestazioni possano anche essere formative nell’esperienza, è considerazione ovvia così come è formazione quotidiana qualsiasi attività lavorativa in qualsiasi settore pubblico o privato. Il verificarsi di ciò, porta ad assimilare quell’ ‘obbligo’ per il disoccupato a prestare ‘lavoro’ attraverso i PUC in cambio di un sussidio/rimborso, e non di una equa retribuzione, ad un vero e proprio ‘lavoro forzato’ ”.
“In ultimo la questione dei corsi – conclude Caredda -. A riguardo, tengo a sottolineare che i disoccupati laureati specializzati non devono essere ‘usati’ per investire sulle risorse del PNRR al fine di poter dare da lavorare alle agenzie formative accreditate con le Regioni, che hanno necessità di corsisti per attivare i percorsi di formazione rientranti nei GOL. I disoccupati che hanno esperienza e formazione per orientarsi sui percorsi formativi, non possono essere ‘obbligati’ alla scelta tra i soli corsi previsti dal Programma nazionale per la Garanzia occupabilità dei lavoratori (GOL), ma devono poter avere l’autonomia di frequentare corsi che hanno già intrapreso o che devono cominciare, a loro utili per davvero per potenziare e migliorare le competenze spendibili nel mercato del lavoro”.