Disabilità. Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Toscana, Marche e Molise: sono soltanto cinque le Regioni d’Italia in cui la legge sul Dopo di Noi è pienamente operativa, a un anno e mezzo dalla sua entrata in vigore. Soltanto queste cinque regioni, come riporta il magazine vita.it, hanno emanato i bandi, chiudendo il cerchio delle misure attuative, mettendo i cittadini con disabilità nelle condizioni di presentare il proprio progetto individuale che punta alla deistituzionalizzazione, al supporto alla domiciliarità, allo sviluppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana e chiedere che sia finanziato con il fondo per il Dopo di Noi. I primi a sapere se il loro progetto sarà o meno finanziato, accedendo di fatto per primi alle misure previste dalla legge per il Dopo di Noi, saranno i lombardi: la Regione Lombardia infatti ha scritto nero su bianco che entro il 31 dicembre 2017 chiuderà le valutazioni e dal 1° gennaio 2018 i nuovi percorsi partiranno, con il loro budget di progetto e un monitoraggio trimestrale. Anche le Marche hanno già chiuso la raccolta delle richieste, il Friuli Venezia Giulia è particolare perché ha raccolto i progetti non dalle singole persone fisiche ma dagli enti gestori.
È questa la panoramica dell’attuazione della legge 112/2016, realizzata da Anffas con pazienza certosina, tramite il confronto tra gli atti applicativi delle varie Regioni: la Relazione al Parlamento che entro il mese di giugno di ogni anno dovrebbe – secondo la legge stessa – fornire tutti i numeri, al momento non si è vista. Come non si è vista la campagna di informazione che la Presidenza del Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto fare.
La sintesi è che 18 mesi dopo quel 25 giugno 2016, quando la legge entrò in vigore, suscitando nelle famiglie l’aspettativa di una imminente svolta, la legge sul Dopo di Noi fatica ancora a decollare. Su 19 Regioni coinvolte (Provincia autonoma di Trento e Provincia autonoma di Bolzano in quanto a statuto autonomo hanno rinunciato da tempo al riparto delle risorse dei fondi nazionali, e la Provincia di Trento sta predisponendo un provvedimento nel solco della 112), tutte hanno emanato il piano attuativo regionale concordato con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e nessuna ha integrato i fondi nazionali con fondi propri, per ampliare la platea dei beneficiari. Di Veneto e Valle d’Aosta si sa dell’esistenza dell’atto direttoriale ma nulla si conosce dei contenuti, quindi esaminando le altre 17 regioni, la mappa che si disegna è la seguente: 9 regioni (Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Sicilia e Toscana) hanno emanato sia il piano attuativo regionale sia i successivi provvedimenti atti a rendere concrete le misure ma di queste solo 5 (quelle citate sopra) hanno anche emanato i bandi, chiudendo il cerchio. Le altre 8 (Abruzzo, Calabria, Lazio, Liguria, Puglia, Sardegna e Umbria) hanno emanato i piani attutivi regionali ma al 20 novembre non avevano ancora emanato gli atti seguenti, per l’attuazione delle misure.
«La forza della legge 112 è il cambio di prospettiva che introduce, ma la sua attuazione va troppo a rilento, il panorama a un anno e mezzo dalla sua entrata in vigore fa emergere l’incapacità dell’infrastruttuta a recepire una norma, a garantire un diritto e a renderlo esigibile. Ormai si fa concreto il rischio che le famiglie, che vi avevano guardato con grandi aspettative, non vedendo succedere nulla, non vedendo realizzarsi le prospettive che la legge prevede, traggano la conclusione che la legge non serve e tornino a pensare che le uniche soluzioni possibili sono gli istituti o tenere i figli disabili a casa casa», sospira Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas, che ha presentato i dati il 1° dicembre, nel Convegno nazionale “Legge 112/16, dalle parole ai fatti. Gli atti applicativi delle Regioni a confronto”, organizzato in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità