Green pass. Tutti allineati a punire chi non vuole vaccinarsi

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È spettato all’improbabile quartetto Gelmini, Brunetta, Orlando e Speranza tradurre in precetti la serie di obblighi che devono essere ottemperati in applicazione della tessera “annonaria” concessa a chi ha usufruito della distribuzione del vaccino e che gli concede l’appartenenza al consorzio civile.

Grazie a loro ora sappiamo che è legale se non legittimo che dal  15 ottobre al 31 dicembre, l’ingresso di 23 milioni di soggetti in qualsiasi luogo di lavoro pubblico e privato è condizionato dal possesso e dall’esibizione del green pass, il documento che si ottiene benevolmente già con la prima dose di vaccino, a dimostrazione della volontà di uniformarsi  alle regole. Gli sventurati che confermano con l’esperienza personale che il prodotto non possiede i requisiti richiesti per essere un “vaccino”, i  bivaccinati, cioè, che contraggono il Covid, una volta guariti hanno un green pass esteso a 12 mesi; stessa cosa per i monovaccinati, ma devono passare 14 giorni tra la prima dose e il contagio, così l’aver contratto il virus dopo il vaccino li esonera per ora dalla terza dose.

Se ci si ostina dissennatamente a non vaccinarsi, serve il tampone, e la novità è che, se è molecolare, ha un validità di 72 ore, mentre quello rapido (antigenico) resta a 48, che costa  8 euro per i minori e 15 euro per gli adulti.

I “codardi” che temono la punturina e le sue repliche, sono arruolati sistematicamente nell’esercito dei cospirazionisti, nemici dello Stato, e pagano la loro “irragionevole” diserzione  con la sospensione del rapporto di lavoro e dello stipendio dopo 5 giorni di assenza “ingiustificata”, una pena che per i dipendenti del privato scatta invece dal primo giorno. Chi viene “sorpreso” e stanato senza green pass sul posto di lavoro — pubblico o privato — rischia sanzioni da 600 a 1.500 euro e comunque non ha diritto  a ricorrere allo smart working, perché come ha detto il ministro Brunetta:  «Tutto il lavoro deve essere, il capitale umano non può restare bloccato in casa».

Ovviamente sono i datori di lavoro che devono eseguire i controlli, loro stessi o tramite soggetti selezionati e incaricati in veste di “pubblici ufficiali”, un equilibrismo semantico per definire la conversione di capireparto, portieri con l’istinto alla delazione già dimostrato nella storia, addetti alla sicurezza, in vigilantes senza riconoscimento di straordinari, sbirri e kapò.

Ma non vi sfuggirà che il controllo è incrociato ma non reciproco: c’è da dubitare che qualcuno abbia l’ardire di esigere l’esibizione del salvacondotto all’Ad di Conad che vuole collocare in aspettativa non pagata i dipendenti non vaccinati, che la colf della signora del generone sia legittimata a pretendere che la sua datrice di lavoro sfoderi le credenziali sanitarie, o che lo possa fare il lavapiatti in servizio presso Cracco.

Anche questo dovrebbe far intendere a chi non vuol sapere che il green pass non possiede alcun intento “sanitario”, ma ricattatorio perchè instaura a norma di legge un regime di controllo e discriminazione arbitraria che ci si propone di estendere. Anche Enrico Letta, col sangue alla testa contro chi non si allinea al pensiero unico, auspica  che  chi non è munito di GP non acceda alle urne elettorali. Siamo alla frutta

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