In questi giorni, molte famiglie – soprattutto all’interno del mondo cattolico – si stanno interrogando sull’appropriatezza di far festeggiare Halloween ai propri figli. In tanti chiedono informazioni, l’anno scorso Alberto Pellai, medico esperto di prevenzione in età evolutiva, psicoterapeuta dell’età evolutiva che lavora come ricercatore presso il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Milano, aveva affrontato questo tema con un post su Facebook che vi riproponiamo.
DOLCETTO O SCHERZETTO: MA E’ DAVVERO COLPA DI HALLOWEEN?
-Come ogni anno la crescente attenzione che la festa di Halloween riceve da tutti, mette in crisi molte persone. I nonni ricordano che ai loro tempi queste giornate erano dedicate al culto dei morti e alla visita dei cimiteri. Perciò vedere i nipotini intenti a prepararsi una sorta di “secondo carnevale”, desiderosi di girare per le case a fare “dolcetto o scherzetto”, li lascia parecchio interdetti.
In tanti pensano che il “mercato” abbia cannibalizzato un altro evento di significato e simbolismo religioso per trasformarlo in una fiera del consumo.
Io credo che noi adulti dovremmo capire quali significati vogliamo mettere “in mano” e “nel cuore” dei nostri figli in base alle scelte educative che facciamo. A casa nostra Halloween non è mai stata una “grande cosa” ma questo non ha impedito che per alcuni anni io accompagnassi i miei figli a fare “dolcetto e scherzetto” presso la casa di amici e conoscenti. Quelle serate ora rappresentano uno dei ricordi più “dolci” della mia esperienza di papà.
Allo stesso tempo, tutti gli anni, io e mia moglie ci siamo recati con i nostri figli al cimitero dove sono sepolti i nostri parenti più prossimi. Lì abbiamo ascoltato la Santa Messa e pregato sulla tomba di parenti che i nostri figli non hanno mai nemmeno conosciuto e di cui hanno solo sentito parlare. Sono stati momenti importanti della nostra storia genitoriale. La morte era lì, fotografata nell’immagine di qualcuno che non c’è più, celebrata da un mazzo di fiori messo a decoro di una tomba, rappresentata dalla data di nascita e di morte impressa sul marmo che definisce un percorso di vita e un destino che ci accomuna tutti.
Queste visite al cimitero hanno portato i nostri figli a farci molte domande. Sempre e comunque. Come genitori siamo consapevoli che la morte è un ingrediente inevitabile della vita. Ci accomuna tutti. A tutti fa paura. Per tutti è inevitabile
Quello che penso di Halloween è questo: se tale festa rappresenta una modalità con cui cancellare la possibilità dei nostri figli di confrontarsi con l’idea (e la realtà) che la morte rappresenta per ciascuno di noi, allora Halloween è oggettivamente un problema. Se trascorriamo ore a preparare trucchi e vestiti, a sfornare dolcetti e a girare per le case e poi non troviamo nemmeno un’ora in questo lungo week end per visitare un cimitero, per permettere ai nostri figli di conoscere i volti delle storie di famiglia alle quali non hanno avuto accesso diretto, insomma se usiamo la scusa di Halloween per non fare la fatica di costruire un progetto educativo famigliare intorno al tema della morte, allora Halloween rappresenta davvero un limite per i nostri figli. Qualcosa che toglie molto e che aggiunge poco.
Se invece all’allegria di “dolcetto e scherzetto” sappiamo affiancare anche la serietà e la sobrietà imposte da una visita al cimitero, da una sana celebrazione del ricordo di chi non c’è più, allora Halloween non mi spaventa. E’ un’occasione in più per fare festa. Magari facendo attenzione a non esagerare e a non cadere eccessivamente nelle lusinghe del mercato.
Insomma, non è Halloween a fare la differenza. Siamo noi adulti a scegliere che cosa pensiamo che sia davvero importante nella vita dei nostri figli. Ci tengo a sottolineare che il “dialogo” sulla morte e l’attenzione da dare a questo tema, non necessariamente deve incarnarsi in uno specifico credo religioso. Per me che sono cattolico questo risulta naturale. Ma per chi fosse ateo, c’è un’attenzione speciale che va comunque riservata alla dimensione spirituale della vita, a quella zona di insondabile, incontrollabile, ingestibile dalla sola potenza e competenza umana. Una zona fatta appunto di “impotenza” dove l’umano sperimenta il propri limite. La morte rappresenta in se stessa il limite di ciascuno di noi. E in quanto tale necessita di essere pensata ed elaborata in una prospettiva che va oltre l’umano. Magari non religiosa. Ma certamente spirituale. Non si può dimenticare la morte nel nostro progetto educativo. E nemmeno nel nostro percorso di vita. Eppure, così tanti, tra noi, sembra proprio che lo stiano facendo. In modo totale e deliberato. E’ in questa assurda dimenticanza, che il culto dei morti diventa culto di una zucca. Purtroppo.
Se pensate che questa riflessione possa servire ad altri genitori ed educatori condividetela. E soprattutto, commentatela. Voi che cosa ne pensate?-
Chi è Alberto Pellai?
E’ un medico, esperto di prevenzione in età evolutiva, psicoterapeuta dell’età evolutiva che lavora come ricercatore presso il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Milano, presso la quale è docente in molti corsi di Laurea della Facoltà di Medicina. Dirige la collana “Educazione alla Salute” presso la casa editrice Franco Angeli (venti i titoli già inseriti in collana), la collana di Narrativa Psicologicamente Orientata per bambini “Parlami del cuore. Ha pubblicato decine di articoli scientifici su riviste italiane e straniere e più di 30 libri rivolti ad operatori, genitori, insegnanti. Negli ultimi anni, la sua produzione si è indirizzata ai bambini, per i quali ha pubblicato storie e favole (6 per i tipi della Erickson; 4 per i tipi delle Edizioni Monti) sviluppando il modello narrativo definito NPO (Narrativa Psicologicamente Orientata) finalizzato a fornire ai bambini competenze nell’area dell’educazione emotiva