Il giudice Rosario Livatino sarà beato

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E’ il primo magistrato nella storia della Chiesa ad essere dichiarato beato: l’iter per il processo di beatificazione era stato avviato nel 2011.

Nel frattempo sono stati raccolti documenti e testimonianze per circa quattromila pagine per sostenere il processo di canonizzazione.

Oggi Papa Francesco – nel corso di un’udienza col cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione per le Cause dei santi – ha emanato un decreto con cui autorizza la sua promulgazione a Beato.

L’intestazione del decreto recita: “il martirio del Servo di Dio Rosario Angelo Livatino, Fedele laico; nato il 3 ottobre 1952 a Canicattì (Italia) e ucciso, in odio alla Fede, sulla strada che conduce da Canicattì ad Agrigento (Italia), il 21 settembre 1990”. La cerimonia di beatificazione potrebbe svolgersi nella primavera del 2021 proprio ad Agrigento.

Il ‘Giudice Ragazzino’ (così era anche conosciuto il magistrato), venne trucidato nel percorrere una strada di campagna, mentre si trovava alla guida della propria auto. Quando venne ucciso, a soli 37 anni, ricopriva il ruolo di giudice penale del tribunale di Agrigento; in precedenza era stato per circa dieci anni sostituto procuratore sempre in Sicilia.

La sua vita fu decisamente un esempio di rettitudine non solo professionale ed ispirò anche un film (‘Il Giudice Ragazzino’ di Alessandro Di Robilant) uscito nel 1994: si impegnò fin da giovanissimo nell’Azione cattolica; dopo la maturità classica, iscrittosi a Giurisprudenza, si laureò con lode ad appena 23 anni. A 26 anni entrò in magistratura ed assegnato di prima nomina, presso il tribunale ordinario di Caltanissetta. Nel 1979 diventò sostituto procuratore presso tribunale di Agrigento e ricoprì la carica fino al 1989, quando assunse il ruolo di giudice a latere.

Persona di grande fede, (i mafiosi lo definivano santocchio cioè bigotto, perché frequentava assiduamente la parrocchia di San Domenico), Livatino aveva un motto: ‘Sub tutela Dei’ (sotto la tutela di Dio) con cui per abitudine, chiudeva le annotazioni in agenda.

La prova del martirio “in odium fidei” del giovane giudice siciliano, secondo quanto riportano fonti vicine alla causa, è arrivata in virtù delle dichiarazioni rese a verbale, da uno dei quattro mandanti dell’omicidio, che ha testimoniato durante la seconda fase del processo di beatificazione.

Da tale dichiarazione testimoniale, è emerso come il mandante che decise ed ordinò il suo omicidio, conoscesse la assoluta rettitudine del giudice Livatino, il suo profondo senso di giustizia, il suo attaccamento alla fede, motivi questi che escludevano potesse essere in alcun modo un interlocutore della criminalità.

Papa Francesco, in occasione di un incontro nel 2019 con i membri del ‘Centro Studi Rosario Livatino’, ebbe a definirlo: “un esempio non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto; per la coerenza tra sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni”.

Le reazione della Magistratura: per il procuratore di Agrigento, Rosario Livatino – beato “In un momento di grande crisi valoriale, questo è un segno”.
Sulla stessa linea il commento del presidente del tribunale di Agrigento, Pietro Maria Falcone: “Questa terra è ancora una terra di giudici ragazzini, costretti a svolgere dei compiti più grandi di loro. La mafia non è affatto estirpata”.

Antonio Ingroia, ex pm di Palermo, dichiara ad Adnkronos: “Una notizia importante, perché spesso le vittime della mafia si possono definire martiri e Livatino ha avuto certamente questo profilo, anche per le modalità attraverso le quali è stato ucciso senza pietà dai suoi carnefici inseguito per le campagne di Agrigento”.

L’ex procuratore Gherardo Colombo commenta: “il suo è stato un sacrificio importante, la sua vita è stata una grande testimonianza, la vita di una persona schiva, senza mania si protagonismo. Si tratta, dunque, di un rilevante riconoscimento”.

L’ex procuratore Giancarlo Caselli dichiara: “Voglio ricordare la frase più celebre di Rosario Livatino, quella che tutti conoscono e che tutti ricollegano a lui. Livatino diceva ‘non importa essere credenti, importa soprattutto essere credibili’. E la sua credibilità che ne ha fatto un credente meritevole addirittura della beatificazione. La sua credibilità – aggiunge Caselli -, il suo coraggio, tutta la sua vita professionale, ma rivendicando una fede che però lui interpretava affermando, ripeto, che non importa tanto essere credenti ma essere credibili, e lui è stato credibile e quindi ha reso la sua fede, il fatto di essere credente, meritevole di questo riconoscimento”.

Alberto Porcu Zanda

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