Liliana Segre è la protagonista di questa “dolorosa” narrazione di ricordi, venuti alla luce dopo un faticoso silenzio d’elaborazione durato quarant’anni.
La presentazione del libro, uscito in occasione del giorno della memoria, il 23 gennaio scorso, pubblicato dalla casa editrice People, è avvenuta oggi nel foyer del teatro Massimo a Cagliari, alla presenza dell’autore Pippo Civati che ha dialogato con il giornalista Jacopo Onnis.
E’ il racconto lucido della esperienza di una sopravvissuta al campo di sterminio nazista di Auschwitz, e del suo pensiero che il libro riporta – per opera dell’autore – in maniera fedele e puntigliosa, perchè ciò che conta è sì la conoscenza della testimonianza degli orrori patiti, ma anche conservare i toni personali della protagonista che devono essere una spiegazione dei pericoli che ancora oggi si corrono, se non ci si cura della democrazia, del rispetto delle leggi e delle persone.
La Segre – che nella sua primissima giovinezza fu prima espulsa, poi clandestina, poi richiedente asilo, quindi respinta, poi arrestata ed infine deportata – nella sua testimonianza è acuta e provvida di particolari, come pure lo sono le sue parole misurate e mai fuori posto; lei parla solo di ciò che realmente conosce, che ha vissuto e che la riguarda direttamente.
Pippo Civati sottolinea come nel libro siano totalmente assenti riflessioni sue proprie, se non in un caso, quando inserisce un elemento personale pensando (paragonandosi alla figura di Alberto – il padre della Segre – quando gli fu comunicato che la figlia era stata espulsa dalla scuola) a come si sentirebbe lui, se dovesse accadere che alla sua piccola figlia fosse vietato di salire sullo scuolabus.
La Segre spiega che ci sono tante ragioni per cui non ha iniziato a raccontare la sua tragedia appena dopo la prigionia: intanto perchè il suo ritorno, avvenne in una Milano che era distrutta dai bombardamenti, dove lei non aveva più nulla, nè casa, nè famiglia: ci mancava solo che in quella situazione di totale disastro – spiega la senatrice a vita – arrivassi io a parlare di queste cose e poi soprattutto perchè non mi avrebbero mai creduta.
La Segre “sblocca” in qualche modo la sua memoria allo scadere dei 60 anni di vita, quando diventa nonna, sentendo l’esigenza di rivolgersi proprio ai ragazzi, a quelli che lei definisce “nipoti ideali” che devono diventare – lei dice – “una candela accesa”.
Da quando è stata nominata senatrice a vita dal Presidente Mattarella, Liliana Segre alterna il lavoro di legislatore a quello di semplice “divulgatrice della memoria” che dagli anni ’90 svolge girando senza sosta per le scuole (dove ha incontrato piu di 300.000 ragazzi) per far sì che dell’Olocausto venga conservata traccia nelle nuove generazioni, promuovendo una straordinaria campagna contro l’indifferenza e contro il razzismo, perché non si perdano mai i diritti e il rispetto per le persone.
Ai regimi totalitari ciò che serve è esattamente l’indifferenza che apre le porta al disumano e che è (poi) la madre della violenza: non vi è violenza, se alla base non c’è l’indifferenza, come quella – spiega la protagonista – dimostrata dalla maestra che giustificandosi con suo padre che chiedeva il perchè della espulsione della propria figlia dalla scuola, si sentì rispondere, non le ho fatte mica io le leggi razziali.
L’indifferenza è terribile e rimane sempre impunita: come si fa a prendersela con gli indifferenti – dice la Segre – ti possono sempre rispondere che non hanno fatto nulla.
Eppure, purtroppo anch’io sono stata indifferente, ammette con rammarico e sofferenza la Segre, riferendosi al momento in cui non aveva salutato una compagna diretta alla camera a gas.
Civati spiega che Liliana Segre, prova a raccontare le cose da un punto di vista assoluto e la sua testimonianza è spinta proprio dalla speranza di riscatto delle leggi razziali.
Prima il campo di concentramento, oggi il Senato della Repubblica, spezzoni diversi di una unica vita, sintesi preziosa di un messaggio di speranza e di pace che Liliana Segre si è posta come missione e che sintetizza così: occorre essere critici con la nostra storia ed individuare le nostre responsabilità, perché l’orrore non si manifesti ancora; ho paura della perdita della democrazia, perché so cos’è la non democrazia.
Parole forti ed indiscutibili, che è sperabile siano da insegnamento e monito alle generazioni future.
Alberto Porcu Zanda