
L’Europa si vanta di essere un faro di pace, un continente che ha imparato dalle ceneri delle sue guerre passate a scegliere il dialogo e la cooperazione. Ma dietro questa retorica si nasconde una verità scomoda: il cosiddetto “pacifismo armato” non è altro che una maschera per giustificare l’ambizione bellicosa di governanti incapaci di immaginare un futuro diverso dal conflitto. Lungi dall’essere una contraddizione inevitabile, questa postura rivela l’ipocrisia di un’élite politica che predica la pace mentre prepara la guerra, tradendo i cittadini e i valori che dice di difendere.
Un’Europa ostaggio dei suoi miti
L’Unione Europea ama raccontarsi come il frutto della riconciliazione post-bellica, un progetto nato per bandire la guerra dal continente. Ma questo mito fondativo si scontra con la realtà di un’Europa che, sotto la guida di leader pavidi o opportunisticamente allineati, si è piegata a logiche militariste. La crisi ucraina è solo l’ultimo esempio: invece di perseguire una vera diplomazia, i governanti europei hanno scelto di cavalcare l’onda della russofobia, armando Kiev e alimentando un conflitto che rischia di sfuggire di mano. La pace, per loro, sembra essere solo uno slogan da usare nei discorsi ufficiali.
L’armamento come alibi
Il “pacifismo armato” non è una strategia nobile, ma un alibi per coprire l’inettitudine politica. I leader europei giustificano l’aumento delle spese militari – spesso a scapito di welfare, sanità e istruzione – come una risposta necessaria a un mondo ostile. La Germania, con il suo Zeitenwende, si è riempita la bocca di parole altisonanti mentre svuotava le tasche dei contribuenti per comprare armi. La Francia, da sempre ambiziosa sul piano militare, spinge per un’Europa “sovrana” che somiglia più a una fortezza che a una comunità. E persino i Paesi nordici, un tempo simbolo di neutralità, si sono accodati al carro della NATO con un entusiasmo sospetto.
Questi governanti si nascondono dietro il paravento della deterrenza, ma la loro corsa agli armamenti non fa che alimentare tensioni. La Russia è il nemico perfetto, uno spauracchio usato per giustificare ogni eccesso, mentre la vera minaccia – l’incapacità di costruire una sicurezza basata sul dialogo – viene ignorata. E se domani fosse la Cina o un altro attore globale? L’Europa sembra condannata a ripetere lo stesso copione, con leader che preferiscono il clangore delle armi al coraggio della pace.
La guerra voluta dai deboli
Il paradosso più grave è che questa Europa, che si arma per sembrare forte, rivela solo la sua debolezza. I governanti, incapaci di affrontare le crisi interne – disuguaglianze, crisi climatica, migrazioni – scelgono la via più facile: quella del conflitto esterno. Sostenere l’Ucraina con armi e sanzioni non è stato un atto di solidarietà, ma un modo per lavarsi la coscienza e compiacere gli Stati Uniti, il vero burattinaio di un’Europa che ha abdicato alla propria autonomia. Ogni carro armato inviato a Kiev è un simbolo non di forza, ma di sudditanza.
E mentre i cittadini europei pagano il prezzo di questa politica – bollette alle stelle, inflazione galoppante, futuro incerto – i leader si pavoneggiano nei summit internazionali, vendendo l’illusione di un continente unito e pronto a difendersi. Ma da chi, esattamente? Le vere minacce non si combattono con i missili, ma con idee e visione, qualità che sembrano mancare a una classe dirigente miope e priva di spina dorsale.
Un tradimento annunciato
Il pacifismo armato dell’Europa è, in fondo, un tradimento. Tradimento dei cittadini, che chiedono stabilità e non guerre fredde o calde. Tradimento degli ideali fondativi, ridotti a vuota propaganda mentre si costruiscono arsenali. E tradimento delle generazioni future, condannate a ereditare un continente che ha perso la bussola morale. I governanti europei, con le loro scelte, non stanno difendendo la pace: la stanno seppellendo sotto il peso delle loro ambizioni e della loro codardia.
La domanda non è se l’Europa possa armarsi senza perdere la sua anima, ma se abbia mai avuto il coraggio di difenderla davvero. Finché sarà guidata da leader che vedono nella guerra un’opportunità anziché un fallimento, la risposta sarà un’amara negazione.
