
La fiducia passa ma con soli 95 voti, Lega, Fi e M5s non votano.
Roma. Secondo round alle 9 di oggi, alla Camera per Mario Draghi. Il premier non è stato formalmente sfiduciato in Senato (sono stati 95 i sì e 38 i no) e per concludere l’iter della parlamentarizzazione – così come chiesto dal capo dello Stato, Sergio Mattarella – ascolterà il dibattito anche a Montecitorio e molto probabilmente salirà al Quirinale dopo aver ottenuto la fiducia nel secondo ramo del Parlamento.
A questo punto la palla passerà a Mattarella che potrebbe prendersi qualche ora – o giorni – di riflessione e dopo aver incontrato i presidenti Roberto Fico e Elisabetta Alberti Casellati – come prevede la Costituzione – scioglierà le Camere. Sarà il governo, poi, a decidere la data delle elezioni che dovranno tenersi tra i 60 e 70 giorni dallo scioglimento del parlamento.
La data più probabile potrebbe essere quella del 2 o del 9 ottobre visto che il 25 settembre si celebra il capodanno ebraico.
Ieri sono state dieci ore tesissime, vissute sul filo di una crisi al buio, in cui il premier sveste i panni del tecnocrate e finisce nel turbine di trattative politiche intavolate last minute per mandare avanti il suo esecutivo. A fine giornata, di fronte alla disgregazione plastica della maggioranza, tira le somme e mette i partiti davanti alle loro responsabilità, chiedendo il voto di fiducia. Prima, però, intervenendo in replica, decide di mettere alcune cose in chiaro con durezza e toni a tratti alterati. “Da me nessuna richiesta di pieni poteri, va bene?”, si scalda rispondendo alle accuse che gli erano state rivolte in Aula. E sul superbonus punta il dito su chi ha disegnato i meccanismi di cessione, alzando la voce: “Sono loro i colpevoli di questa situazione per cui migliaia di imprese stanno aspettando i crediti! Ora bisogna rimediare al malfatto”.
