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Ogni uomo è un mistero, ma la fama da grande statista che circonda Romano Prodi è paragonabile alle intenzioni di Stalin dopo la spartizione della Polonia con Hitler: Churchill le definì «un indovinello avvolto in un mistero all’interno di un enigma».
Da presidente Iri svendette le industrie a partecipazione statale. Da leader dell’Ulivo vinse due elezioni facendosi poi impallinare in entrambi i casi dalla sua stessa maggioranza, sorte toccatagli anche da candidato al Quirinale. Da premier regalò all’Italia la legge Turco-Napolitano e ci portò nell’euro a un tasso di cambio sfavorevolissimo per la lira. Da numero 1 della Commissione europea accelerò l’ingresso nell’Ue dei Paesi dell’Est creando squilibri economici e sociali ancora irrisolti. Da rappresentante Onu in zone di crisi come il Sahel non ha lasciato traccia.È una via crucis lastricata da scelte fallimentari che anche a sinistra vogliono rimuovere: nessuno rivendica l’operato degli esecutivi prodiani al punto che c’è ancora chi si ostina a parlare del «ventennio» berlusconiano come se il centrosinistra non avesse governato dal 1996 al 2001 e tra il 2006 e il 2008. Ciononostante il Professore bolognese fa incetta di incarichi e poltrone, ma soprattutto pontifica come se in tasca avesse soltanto lui, e nessun altro, la ricetta per risolvere i problemi dell’Italia.Ovviamente non gli va mai bene niente. Le soluzioni di chi è venuto dopo di lui – a Roma come a Bruxelles – sono sempre inadeguate. L’ultima occasione per mostrare come sarebbe migliore il mondo se ci fosse lui a comandare gliel’hanno data Confindustria e il Sole24Ore che la settimana scorsa hanno fatto partire proprio da Bologna un «Viaggio nell’Italia che innova».Come un oracolo dal dente avvelenato, Prodi ne ha avute per tutti. A cominciare dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: «Le sue ultime parole sui pericoli di un rallentamento italiano mi preoccupano. Non vorrei che disponesse di numeri che noi non abbiamo». E poi gli alleati: «Dobbiamo essere naturalmente vicini alla Francia, ma non possiamo dimenticare che la Francia non ha mai apprezzato e sostenuto le collaborazioni interforze. Gli Stati membri dell’Unione europea hanno sempre custodito gelosamente la politica estera».Ancora: «La burocrazia è peggio delle tasse». Il pachiderma amministrativo è certamente una palla al piede dell’economia. Però pare di capire che il fisco, per il Professore, sia un problema minore. Talmente irrilevante che non si fece scrupoli ad appesantire il prelievo: per l’Istat, nel 2000 (governo D’Alema) la pressione fiscale era attorno al 41,5 per cento del Pil; con i successivi governi Berlusconi era scesa (40,3 per cento nel 2005), per risalire al 42 per cento nel 2006 (quando l’Ulivo rivinse le elezioni) e stabilizzarsi in seguito al 42,6: l’opposizione arrivò a contare 67 tra balzelli nuovi o aumentati dalla multiforme coalizione tenuta assieme da Prodi.Intervistato dal Fatto Quotidiano, l’ex premier sputasentenze e sputaveleno ne ha avuto anche per i Grandi della terra, poveri ignoranti che non sapevano di avere a portata di mano lo sbrogliamatasse più abile del pianeta che amaramente confessa: «Avrei voluto finire la mia attività aiutando un processo di pace, ma non mi è stato possibile. Forse avrei potuto concretamente dare una mano per tentare di portare la pace in Libia, ma non mi è stato permesso».Come si permettono? Proprio lui, il prevosto di Scandiano, la Mortadella dal volto umano avrebbe disarmato il Califfo del terrore. Lui sa tutto della Libia in quanto rappresentante Onu nel Sahel, dove si muore di fame e di sete: «Sapevo bene che quantità grandi di armi si spostavano in Egitto dalla Libia». E invece «non me lo hanno permesso». Non era il primo affronto subìto dai partner occidentali: Prodi imputa loro la mancata riconferma a Bruxelles. «La guerra in Irak spaccò l’Europa, io dovetti rinunciare al secondo mandato alla presidenza dell’Ue. Ascoltare oggi Blair scusarsi perché quelle maledette armi di distruzione di massa non esistevano lascia un peso enorme».Ma Prodi ce l’ha pure con Giorgio Napolitano. Anche qui i più maliziosi potrebbero vedere una punta di rivalsa verso l’unico presidente rieletto al Quirinale, e la seconda volta dopo che Prodi stesso non era riuscito a incassare 101 voti dalla maggioranza di sinistra che doveva sostenerlo. La guerra del 2011 in Libia, osserva l’intervistatore del Fatto, fu voluta fortemente anche da Napolitano, che come capo dello Stato è pure alla guida delle Forze armate. «Non so chi l’abbia voluta perché non ero io al potere – è la gelida replica di Prodi -. So solo che è incomprensibile e incompreso come l’Italia abbia potuto prendere una decisione di quel tipo». La consultarono? «Mai stato consultato né prima né durante né dopo».Nessuno scampa alla falce di Prodi-so-tutto-io. La strategia di Putin in Siria è quella giusta? «No. Non comprendo perché si bombardino le città e non i pozzi o le auto-cisterne». L’Ue che paga Erdogan per chiudere le frontiere ai profughi? «Una carta giocata in modo spregiudicato». Netanyahu, premier israeliano? «Finché al governo ci sarà lui la pace è impossibile». Marine Le Pen? «Più pericolosa del padre perché lui le elezioni le perdeva». Il Giubileo? «L’immagine di Roma nel mondo, purtroppo, peggio di così non può essere». Insomma, c’è una sola cosa che Prodi salverebbe: se stesso. «Se sono stato rottamato può volere dire che ero fatto di ferro. Se fossi stato di legno mi avrebbero o segato o bruciato». Ci mancava soltanto Prodi Ironman, rottamato non segato. Contento lui.
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