Importante studio scientifico: in tempo di Coronavirus, meno ricoveri per infarto miocardico

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Reduced Rate of Hospital Admissions for ACS during Covid-19 Outbreak in Northern Italy’: questo il titolo di un importante studio coordinato dall’Università di Torino che sarà pubblicato domani 28 aprile, sulla prestigiosa rivista medica New England Journal of Medicine.

Si tratta di una ricerca, che ha coinvolto 15 ospedali del nord Italia e oltre 30 cardiologi, coordinata dai Dottori Ovidio De Filippo, Fabrizio D’Ascenzo e dal Prof. Gaetano M. De Ferrari del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino e della Cardiologia della Citta della Salute – Molinette.

I ricercatori – nel loro lavoro in pubblicazione – hanno osservato, che dall’inizio della quarantena (dall’8 marzo 2020), si è assistito ad una riduzione estesa dei ricoveri a livello nazionale, per Sindrome Coronarica Acuta (SCA, ACS in inglese) e in particolare per infarto.

Lo studio dimostra una significativa diminuzione del tasso di ricoveri relativi alla SCA in molti centri cardiovascolari del nord Italia.

Per fronteggiare la pandemia da coronavirus, infatti, in tutto il mondo sono state adottate forti misure di contenimento e i sistemi sanitari nazionali sono stati riorganizzati per far fronte all’enorme crescita del numero di pazienti gravemente malati.

Tuttavia, durante questo periodo, ci sono stati alcuni cambiamenti rispetto ai ricoveri ospedalieri per altre patologie.

L’analisi dello studio si è focalizzata sul tasso di ricoveri ospedalieri causati da sindrome coronarica acuta durante i primi giorni dell’emergenza Covid-19.

È stata elaborata un’analisi retrospettiva delle caratteristiche cliniche e angiografiche dei pazienti ricoverati per SCA in 15 ospedali del nord Italia, tutte strutture attrezzate per eseguire operazioni come l’intervento coronarico percutaneo.

Il periodo in cui si è svolto lo studio è compreso tra il primo caso accertato di Covid-19 in Italia (20 febbraio 2020) e il 31 marzo 2020. Sono stati paragonati i tassi di ricovero tra il periodo di studio appena citato e altri due periodi, quello corrispondente all’anno precedente (20 febbraio – 31 marzo 2019) ed un periodo immediatamente precedente a quello oggetto della ricerca (primo gennaio – 19 febbraio 2020).

Il principale risultato ottenuto è relativo al tasso globale di ricoveri per SCA.

Dei 547 pazienti ricoverati per SCA durante il periodo di studio, 420 (76,8%) erano uomini, con un’età media tra i 56 e gli 80 anni.

Il tasso di ricoveri per SCA durante il periodo di studio è stato di 13,1 ricoveri al giorno: questo valore era notevolmente più basso, circa un terzo, sia rispetto al periodo precedente (dal primo gennaio al 19 febbraio 2020: 18 ricoveri al giorno) sia rispetto allo stesso periodo ma dell’anno precedente (dal 20 febbraio al 31 marzo 2019: 18,9 ricoveri al giorno). La riduzione era ancora più marcata considerando il solo periodo del lock-down di marzo o considerando solo gli infarti e non l’angina instabile.

Poiché sappiamo che l’eccesso di decessi osservato in questo periodo di pandemia eccede molto il numero di morti attribuite ufficialmente al coronavirus, è possibile che una parte di queste morti in eccesso sia riferibile al ‘danno collaterale’ di una cura meno efficace delle malattie gravi, come l’infarto, malattie che non scompaiono solo perché c’è una pandemia.

“Oltre al numero ridotto di infarti che vengono ricoverati – sottolinea il Prof. De Ferrari – molti giungono in ritardo al ricovero e non possono perciò trarre il beneficio di un trattamento precoce che riduce molto l’entità del danno cardiaco. E’ dunque essenziale – conclude il Docente – che i pazienti che hanno sintomi sospetti allertino immediatamente il sistema di soccorso pubblico (112) e che si organizzi il loro trasferimento rapido in centri idonei.


Alberto Porcu Zanda

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