Dopo l’anno Mille la presenza degli ordini monastici sul territorio del Nord Sardegna si fa più fitta e organizzata, specie nelle aree agricole più fertili del Logudoro, come l’Anglona e il Sassarese: la abbazia di Nostra Signora di Tergu (o di Gerico) è proprio una delle massime espressioni dell’architettura romanica in Sardegna dell’Anglona, nella parte nord-occidentale dell’Isola.
Il nome Tergu o Gerico deriva da Jericum che significa ‘luogo sacro‘. ‘La festa più importante di Tergu – si legge nel sito ufficiale del Comune – è quella dedicata alla Natività di Maria, patrona del paese, celebrata nella basilica l’8 settembre. L’origine di tale festa è antichissima, venne importata a Tergu dai monaci orientali che verso la metà del 600 d.C. fuggirono dalle loro regioni cadute nelle mani dell’Islam. Probabilmente deriva dall’usanza Cananea di iniziare l’anno con la festa dell’autunno Capudanni, così chiamato il mese di settembre in lingua sarda’.
Tale antica testimonianza si ravviserebbe nella presenza delle ‘rose di Gerico‘ (che crescono solo nel deserto nel Negeb e vivono senza acqua per decenni, se dopo anni ricevono dell’acqua, misteriosamente si rinverdiscono rifiorendo) che sono scolpite lungo gli archetti ciechi in calcare bianco presenti in facciata; nel Medioevo questo fenomeno poteva considerarsi la metafora della resurrezione.
La chiesa che domina isolata un vasto altopiano del territorio di Tergu, si trova alla periferia dell’abitato moderno, nel sito dell’insediamento romano di Cericum: qui sorgeva nel Medioevo il più importante monastero benedettino dell’Anglona, sede di priorato cassinese, al quale la chiesa di Santa Maria o Nostra Signora di Tergu era annessa. La basilica ed i resti dell’adiacente abbazia si trovano in un’area campestre, accessibile tramite l’arco in pietra.
La chiesa di Sancta Maria de Therco, consacrata nel 1117, era infatti proprio un’abbazia benedettina; la sua edificazione opera di maestranze lombarde e pisane, è da attribuirsi (secondo il Libellus judicum turritanorum – documento in volgare logudorese probabilmente redatto da un monaco nel XIII secolo) al giudice di Torres Mariano I de Lacon-Gunal che regnò tra il 1065 e il 1082.
La basilica ha pianta a croce commissa, con un’unica navata ad abside di pianta quadrangolare: il manufatto è caratterizzato da decorazioni bicromatiche e venne edificato con l’utilizzo di cantoni di trachite rossa e pietra calcarea chiara per le decorazioni che costituiscono uno degli elementi più affascinanti di tutto il monumento. La facciata presenta due differenti schemi compositivi, il primo dei quali è caratterizzato da arcate mentre il secondo, da false logge.
Le decorazioni ornamentali consistono in archi ciechi, capitelli con foglie d’acanto, un rosone quadrilobato; ma ciò che rende davvero particolare questo magnifico esempio di monumento sono le quattro colonnine, delle quali due, le più esterne, presentano un particolarissimo ed inconsueto disegno a zigzag.
Di ulteriore pregevolissima importanza è l’attestazione di una produzione vetraria, documentata dal rinvenimento di frammenti di varie forme e dimensioni sotto alle fondamenta del monastero, prodotti da una fornace di cui è stato ritrovato in buono stato di conservazione il crogiuolo, ossia la parte in cui venivano fusi i minerali per la produzione del vetro.
Questi reperti sono le uniche testimonianze che permettono di stabilire con esattezza un passaggio epocale nella produzione del vetro; fino al VIII-IX secolo il vetro veniva prodotto utilizzando un minerale proveniente dall’Egitto, il natron, poi si passò alla produzione dalle ceneri e per un breve periodo il vetro venne anche creato utilizzando una tecnica mista: i vetri prodotti a Tergu, mille anni fa e ritrovati negli scavi rappresentano questo storico passaggio, proprio perche sono vetri ‘misti’.
L’epoca di detta attivita produttiva, è quindi collocabile nel periodo che va dal X all’XI secolo; l’incredibile è che, se non vi fosse stato un incendio, un rogo che distrusse parte del monastero e che causò la carbonizzazione degli oggetti conservati in quella doveva essere la dispensa dei monaci, tutte queste testimonianze non sarebbero arrivate ai giorni nostri.
Alberto Porcu Zanda