

La politica energetica in Sardegna, il parere della UGL Chimici
In Sardegna il 20% dei consumi energetici è dato dall’elettrico, pertanto la conversione del restante 80% delle attività sia industriali che umane, compresi i trasporti, richiede investimenti e tempi non sufficienti a mostrare benefici a breve termine, ma a sentire i luminari del campo energetico e politico, dello spessore di Starace e Cingolani, parrebbe che per la Sardegna la via maestra sarà quella dell’elettrificazione ad ogni costo, senza alcuna preoccupazione sui risvolti occupazionali e sugli incrementi della spesa pubblica che tali scelte provocheranno.
“E se vi dicessi che si può utilizzare la parola sostenibile senza dover per forza chiudere industrie e centrali, senza generare nuovi disoccupati e mettere ulteriormente in crisi un tessuto economico e industriale già fortemente colpito dalle scelte di una classe politica orba?”
La provocazione arriva dal sindacalista UGL Andrea Geraldo, lavoratore nel campo della raffinazione e Segretario Territoriale UGL Chimici. Secondo il sindacalista infatti al giorno d’oggi la parola “sostenibilità” viene abusata con l’intento di giustificare scelte politiche che mirano ad obiettivi che richiedono forti cambiamenti da sviluppare in tempi lunghi e soprattutto sacrifici economici da parte dei cittadini, in quanto queste “iniziative sostenibili” gravano sempre sulla spesa pubblica e non portano benefici a breve termine.
“Certo è che non è più sostenibile una politica ipovedente che genera chiusure e fallimenti, svende aziende essenziali per il fabbisogno energetico nazionale, che non spende in sanità e previdenza ma in armamenti per portare la pace a paesi terzi”, incalza ironicamente il sindacalista.
Per quanto riguarda l’indipendenza e la transizione energetica in Sardegna, non è facile sentir parlare di differenza tra il costo del carbone e quello del gas, perché non può esistere sostenibilità senza un progetto di decarbonizzare, secondo la dottrina moderna, infatti la dismissione dell’utilizzo del carbone sembrerebbe essere l’unica azione efficace per garantire al genere umano la sopravvivenza.
Ma il carbone rimane il combustibile più disponibile al mondo, e il suo approvvigionamento è più sicuro rispetto agli altri combustibili fossili.
“Un altro metodo di indiscussa efficacia per la sopravvivenza del genere umano sarebbe quello di denuclearizzare gli armamenti delle nazioni e promuovere realmente la pace, ma questo discorso merita un capitolo tutto suo”, canzona Geraldo.
Io sostengo invece, dice il sindacalista, che basterebbe guardare ai Paesi virtuosi, e approcciare alle tecnologie Clean Coal, un insieme di tecniche di produzione volte a ridurre l’impatto ambientale abbattendo le emissioni inquinanti nella produzione di energia elettrica dalla combustione del carbone e ad incrementare l’efficienza gestionale. Si tratta infatti di un procedimento di depurazione del carbone (Coal Washing) da materie e polveri inquinanti, che non prevede altro che la frantumazione del carbone e successiva separazione dai contaminanti in sospensione fluida, grazie alle differenze di densità.
Vi è poi la gassificazione del carbone attraverso i sistemi IGCC (Integrated Gasification Combined Cycle), che permette un’elevata efficienza energetica ed estrema flessibilità di generazione dell’energia elettrica. Si potrebbero infatti integrare le vecchie centrali a carbone incrementando l’efficienza di utilizzazione.
Vi è poi la possibilità di una combustione pulita del carbone con deposito e stoccaggio geologico dell’anidride carbonica prodotta, riducendo del 90% le emissioni di CO2 derivante dall’attività di generazione delle centrali elettriche a carbone, come prevede per esempio il progetto statunitense FuturGen.
In Sardegna abbiamo anche un’eccellenza come la Sotacarbo SpA, che ha sviluppato processi di valorizzazione della CO2 prodotta da combustibili fossili, con lo scopo di produrre combustibili sintetici ad alto valore aggiunto, come per esempio il DME, o etere dimetilico, che può essere utilizzato come carburante alternativo e sostitutivo del tradizionale diesel, con il risultato di migliorare le performance ambientali dell’autotrazione in quanto i motori diesel che utilizzano DME emettono meno NOx, Particolato e CO2.
La tecnologia di conversione della CO2 si potrebbe applicare a tutte le attività industriali che la emettono dai loro processi produttivi, come per esempio centrali, acciaierie, cementifici, raffinerie.
Provate a pensare alle industrie che utilizzano combustibili fossili nei processi produttivi che, se convertite con Clean Coal, IGCC e Conversione della CO2, diventerebbero molto più performanti, sostenibili, flessibili e meno impattanti di eolico e fotovoltaico che, non neghiamolo, hanno anche loro un impatto immediato sul paesaggio, sulle colture e gli allevamenti e inoltre rappresenteranno un problema quando bisognerà smaltirli.
L’isola ospita la centrale di Fiume Santo, situata tra Sassari e Porto Torres, che sviluppa una potenza netta di circa 600 MW, ed è un esempio di centrale a carbone che attraverso l’utilizzo di tecnologia DeSOx e DeNOx, abbatte le emissioni di anidride solforosa e ossidi di azoto, oltre ad aver adottato sistemi di abbattimento delle polveri e sistemi di monitoraggio della qualità dell’aria.
Ovviamente tale gioiello non poteva essere che di un gruppo estero, ovvero del Gruppo energetico ceco EPH (Energetický a průmyslový holding), Gruppo che tra l’altro ha un ruolo chiave nel trasporto del gas naturale russo verso l’Europa.
La metanizzazione dell’isola permetterà l’utilizzo di un mix combustibile che incrementerà ulteriormente l’efficienza della centrale sia in termini produttivi che riguardo l’impatto ambientale.
Vi è poi la centrale Grazia Deledda, impianto termoelettrico del Sulcis, che ha subito negli anni una riduzione drastica del personale, sempre a fronte di scelte politiche che hanno reso non più competitiva l’attività di produzione, e che si ritrova oggi a dover portare la produzione ai massimi livelli ma con minor forza lavoro.
Tutto ciò per dire che le scelte politiche stanno creando barriere allo sviluppo e innovazione delle attuali centrali elettriche, scoraggiando gli investimenti e l’ammodernamento, rendendole non più competitive per promuovere scelte energetiche differenti. A causa di questa logica le aziende agiscono sui costi fissi, ovvero sul costo del personale, generando disoccupazione e snellendo le organizzazioni del lavoro.
Accade poi che i rapporti con la politica estera ci portino a dover rinunciare alle importazioni, come sta accadendo a causa dei conflitti tra Nato e Paesi non europei, e l’Italia si ritrova a dover rincorrere il fabbisogno energetico sfruttando un industria che ha demonizzato per anni, lasciandola in lento decadimento, ma che ora si rivela essenziale per la sopravvivenza del paese.
In ultimo mi domando: non sarebbe inoltre più sostenibile e di beneficio a livello mondiale favorire la raffinazione italiana nel rispetto dei limiti imposti sulle emissioni e sui protocolli di sicurezza, piuttosto che continuare a dismettere le raffinerie, anch’esse demonizzate dalla politica, per poi acquistare raffinati del petrolio da Paesi come Asia e Cina che non sono tenute a rispettare il protocollo di Kyoto?
