In Sardegna sono duecentomila, cinque milioni in tutta Italia, una marea di lavoratrici e lavoratori che ogni giorno apre bar, negozi e supermercati, accoglie turisti, garantisce pranzi, cene, ricevimenti,
una marea che venerdì si fermerà per lo sciopero nazionale proclamato da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltrasporti.
I contratti scaduti da troppi anni e l’indisponibilità delle controparti a rinnovarli sono le ragioni dello stop che in Sardegna porterà a Cagliari, in piazza Garibaldi, dalle 9 e mezza, la protesta di un settore che occupa molti giovani e molte donne, spesso part time o stagionali, flessibili all’eccesso, alla mercé di orari e turni più che faticosi e salari bassi.
E se questo è il quadro già insostenibile, oggi le controparti vorrebbero persino peggiorarlo, mettendo in discussione conquiste consolidate come la quattordicesima e gli scatti di anzianità. Sono dodici i contratti da rinnovare nei tre settori coinvolti dallo sciopero (commercio, turismo, ristorazione), per lo più scaduti dal 2018, con diverse controparti tra cui Confcommercio, Confesercenti,
Federdistribuzione, Distribuzione cooperativa, Confindustria.
“È come se stessero facendo cartello” accusano Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs spiegando che “non vogliono applicare un indice a cui si fa riferimento quando si parla di rinnovi”. Quell’indice è l’Ipca e
porterebbe a un giusto aumento di trecento euro, cifra per nulla esosa se si pensa a quanto salario hanno perso i lavoratori con l’inflazione.
“Siamo al paradosso – denunciano i segretari regionali Nella Milazzo (Filcams Cgil), Giuseppe Atzori (Fisascat Cisl) e Cristiano Ardau (UilTucs Uil) – non solo non vogliono riconoscere gli aumenti retributivi per contrastare l’inflazione come previsto dagli accordi interconfederali ma pretendono anche di manomettere diritti come gli scatti di anzianità, i permessi retribuiti, e chiedono sempre più flessibilità in settori in cui è già elevatissima al punto che rende quasi impossibile conciliare i tempi di vita e lavoro”.
Al contrario, i sindacati chiedono di migliorare le parti normative che riguardano i tempi di lavoro, il sostegno alla genitorialità, la trasformazione dei troppi part-time involontari, un impegno fattivo
per contrastare molestie, violenze e discriminazioni che sono purtroppo diffusi anche nei luoghi di lavoro.
Insomma, le posizioni di partenza sono davvero lontane ed è questa la ragione che ha portato a uno sciopero proprio sotto Natale: “Sono del tutto indifferenti ai sacrifici dei loro dipendenti ma devono rendersi conto che è grazie a quei milioni di lavoratrici e lavoratori che fanno i loro profitti”, concludono i segretari Nella Milazzo, Giuseppe Atzori e Cristiano Ardau. L’auspicio è quell’indifferenza lasci il passo al riconoscimento del valore oggettivo del lavoro e che si arrivi a sbloccare la trattativa con un rinnovo che restituisca dignità alle lavoratrici e ai lavoratori.