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“Me ne vado”. Al Teatro Alkestis domani e domenica nella rassegna di Bam Teatro.

Il mondo degli adolescenti e sul tema dell’attesa in evidenza con “Me ne vado”, uno spettacolo scritto, diretto e interpretato da Anna Piscopo, protagonista sulla scena con Marial Bajma Riva (testo inedito-under 35, finalista del Premio InDivenire 2024 a Roma e vincitore della residenza internazionale HUMUS 2024 Artisti nei territori di Matera) in cartellone sabato 16 e domenica 17 novembre alle 21 al Teatro Alkestis in via Loru n.31 a Cagliari sotto le insegne della rassegna “Discovery / Nuove scritture e linguaggi della scena contemporanea” organizzata da BAM Teatro.

La tournée nell’Isola parte giovedì 14 novembre alle 21 con la prima regionale al Teatro del Carmine di Tempio Pausania e prosegue venerdì 15 novembre alle 20.30 al Teatro Comunale di Ittiri, per concludersi con il duplice appuntamento nel capoluogo.

La pièce racconta il disagio e le inquietudini di un’età di passaggio dall’infanzia all’età adulta, attraverso una vicenda inventata ma fin troppo verosimile, che rimanda alle pagine della cronaca: due adolescenti per vincere la noia compiono una strage all’interno di un bar, teatro delle loro giornate, nel tempo sospeso e nel vuoto delle loro esistenze senza futuro. “Me ne vado” – si legge nella presentazione – «è l’attesa di un’alluvione, più simbolica che realistica: metafora perfetta di una punizione divina o forse mezzo di salvezza. Ma il suo “non arrivare” sembra negare lo sviluppo di ogni senso possibile del racconto».

Il testo di Anna Piscopo – una delle artiste più originali della nuova ribalta romana, affermata attrice di teatro e cinema – è incentrato sulle due protagoniste, «immobili nel pensiero e come proiettate ai confini della realtà», ciascuna con un proprio vissuto, che emerge a tratti, ma strettamente legate una all’altra. Finalmente arriva la resa dei conti la catastrofe attesa, senza possibilità di salvezza: “Me ne vado” (una produzione di BAM Teatro) è «una commedia nera, senza redenzione, sul mondo dei giovani a cui non sappiamo più insegnare a diventare adulti».

Un dialogo allucinato e feroce, che mette a nudo la fragilità e insieme l’irrequietezza di due giovani donne esasperate dalla monotonia della vita quotidiana in una cittadina di provincia ma anche incapaci di sfuggirle e di inventarsi un futuro. Le due creature vibranti, piene di rabbia e energia repressa, non riescono a infrangere la gabbia invisibile che impedisce loro di spiccare il volo: solo un’esplosione di cieca violenza, un atto estremo e apparentemente privo di giustificazione, infrange quell’intollerabile routine e le proietta in una nuova dimensione, al di là del bene e del male.

Le due eroine in nero – amiche e complici di un delitto efferato – come paralizzate e incapaci di muoversi, di fuggire come di autodenunciarsi alla polizia, attendono il loro destino: nella loro estrema giovinezza e inesperienza del mondo, al di fuori del microcosmo soffocante in cui sono cresciute, sembrano quasi estraniarsi da ciò che le circonda per immergersi in sé stesse, in quell’inquietudine e quel senso di insoddisfazione da cui è scaturita la strage, forse una simbolica forma di rivalsa contro una comunità che non le comprende, ignora i loro desideri e le loro aspirazioni, come il loro male di vivere.

Le adolescenti sono insieme carnefici e vittime, incapaci di comprendere e misurare appieno la gravità della loro azione, eppure ansiose di scoprire quel che potrà o dovrà inevitabilmente accadere: “Me ne vado” mette in scena lo smarrimento di una generazione perduta, che accarezza velleità e inventa alternative possibili, ma non riesce a scegliere la propria strada tra infinite alternative possibili né a riconoscere e seguire una propria vocazione, a realizzare i propri sogni. Nella loro immobilità, come animali selvaggi colpiti improvvisamente dalla luce dei fari, le protagoniste sembrano riflettere la quiete della provincia, così peculiare e distante dall’animazione della grandi metropoli: nelle piccole comunità dove tutti si conoscono e si sa o almeno si crede di sapere tutto degli altri, si insinua e talvolta emerge una nota di ferocia, che spezza ma solo per un istante quel silenzio assordante.

Fin nel titolo “Me ne vado” suggerisce la volontà di allontanarsi, di rompere gli indugi e i legami, scardinare le proprie e altrui certezze, uscire dal quel margine di sicurezza per ricominciare altrove, immaginarsi magari diverse, affrontare l’ignoto e riuscire magari ad affermarsi, a ottenere un qualche successo, dimostrare la propria indipendenza. Un desiderio di fuga dalla realtà che anticipa e forse istiga quel gesto eclatante e sanguinario, come un tentativo di distruggere i ponti e non concedersi la possibilità di tornare indietro, costringersi a andare a andare avanti incontro al destino: la strage compiuta rappresenta una forma estrema di ribellione, che pure se implica una inevitabile condanna, è pure l’espressione di una volontà di riscatto e di un desiderio di libertà.

«“Me ne vado” è un dramma sul tema dell’attesa (intesa come dimensione ontologica)» – come sottolinea l’attrice e autrice Anna Piscopo – «costruito attorno a due personaggi, immobili nel pensiero in uno spazio ai confini della realtà. Carina e Dolores esistono insieme, come un’unità drammaturgicamente inscindibile, nonostante abbiano un loro personale vissuto che di tanto in tanto viene fuori con evidente differenza. Né i ricordi, né la presa di coscienza del perché si trovano lì (si saprà nella rievocazione, di un massacro che hanno commesso) le modifica, determinando un cambio nell’azione. Il testo esprime l’idea dell’impossibilità della salvezza. Quando finalmente l’alluvione, metafora di punizione divina o di salvezza, sembra stia per arrivare davvero, i due personaggi si dividono nella parola (una dice di andare, l’altra di restare), ma di fatto i loro corpi restano immobili e insieme, uniti, a ribadire l’elemento della crudeltà – inteso come disarmonia tra corpo e parola – tra senso e non senso».

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