Meana Sardo, domani in scena “Il Racconto del Vajont”

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La storia di una catastrofe rivive sulla scena ne “Il Racconto del Vajont”, un celebre monologo scritto da Marco Paolini e interpretato da Alberto Rubinato, un ingegnere civile idraulico, profondo conoscitore della morfologia del territorio oltre che delle dinamiche dei fluidi e delle leggi della fisica, in cartellone sabato 14 dicembre alle 18 al Teatro San Bartolomeo di Meana Sardo per un nuovo appuntamento (fuori abbonamento) sotto le insegne della Stagione di Prosa | Danza e Circo Contemporaneo 2024-2025 organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna con il patrocinio e il sostegno del MiC / Ministero della Cultura, della Regione Autonoma della Sardegna e del Comune di Meana Sardo e con il contributo della Fondazione di Sardegna.

Una versione inedita dell’opera teatrale, che si trasforma nella testimonianza di un esperto in grado di valutare appieno la gravità degli errori compiuti durante i lavori per la costruzione della diga, tra la temerarietà e arbitrarietà delle scelte, l’inadeguatezza e la mancanza di controlli e verifiche da parte delle autorità competenti e la disattenzione della stampa nazionale, fin troppo pronta a celebrare un trionfo della tecnica senza tenere conto delle (rare) voci del dissenso, come quella della giornalista Tina Merlin e delle istanze della popolazione. 

“Il Racconto del Vajont” di Marco Paolini, ormai un classico del teatro di narrazione del Novecento, si affida alla potenza espressiva delle arti della scena per rievocare una tragedia annunciata: le cause del disastro sono ormai tristemente note, a partire dalle relazioni discordi dei geologi fino alla scelta di ignorare i chiari segnali di pericolo in nome del profitto, senza dimenticare il ruolo recitato dalle istituzioni, apparentemente troppo remote per ascoltare le necessità e le reazioni degli abitanti come per vigilare adeguatamente sulle varie fasi di realizzazione di un monumento all’intelligenza e alle capacità umane.

Nell’ambito del Progetto di Memoria e Didattica 2023/2024 “Imparare dal Vajont”, con il patrocinio della Fondazione Vajont, con la consapevolezza che la conoscenza dei fatti giochi un ruolo fondamentale per confrontarsi con la realtà – perché «La Storia è la nostra memoria civile. Ma solo comprendendola, essa ci rende consapevoli» – il monologo ripercorre i momenti cruciali attraverso cui una brillante intuizione fondata sullo sfruttamento dell’energia idroelettrica si trasforma fino a diventare il simbolo del progresso per poi precipitare in un disastro. Nel millenario e non sempre facile dialogo tra uomo e natura, l’esondazione della diga in seguito a una frana nella tarda serata del 9 ottobre 1963 rappresenta un punto di non ritorno, quasi una moderna manifestazione dell’ira degli dèi e della severa punizione per la hybris, ovvero l’arroganza dei mortali, che fieri di sé nella loro presunzione dalla gloria precipitano nella polvere.

Il Racconto del Vajont” nella versione di Alberto Rubinato permette di approfondire i vari aspetti di una vicenda in cui più elementi concorrono a fare di un’opera ingegneristica all’avanguardia, che peraltro ha dimostrato di poter resistere alle sollecitazioni anche violente e improvvise come l’innalzamento del livello delle acque e il moto ondoso provocati dalla frana, senza riuscire a impedire il disastro e salvare le vite di centinaia di persone innocenti e ignare del rischio, in un monito per le generazioni future.

«Quella storia, per come è accaduta, ci pone di fronte a temi più che mai attuali» – come sottolinea l’ingegner Rubinato – tra cui «l’’importanza delle scelte da parte di chi ha un potere decisionale» e «il rapporto tra la popolazione e l’amministrazione pubblica», ma anche aspetti che riguardano la sensibilità e l’esperienza individuale, come «la nostra reale capacità di percezione dei limiti umani» e «la superbia personale giustificata dal progresso e dalla tecnica» senza dimenticare il ruolo che assume anche in questo caso «il potere economico che confonde ed alla fine prevale».

La storia è nota e si può riassumere come una semplice notizia di cronaca: «Il 9 ottobre 1963, alle ore 22.39, una frana di 260 milioni di metri cubi di rocce, si stacca dal Monte Toc. La frana cade nell’invaso situato a monte della Diga del Vajont, provocando un’onda di 250 metri, pari a 50 milioni di metri cubi di acqua, che spazza via dalla faccia della Terra il paese di Longarone e le frazioni vicine. Siamo a pochi km da Belluno. Quasi 2.000 i morti».

Il disastro del Vajont, «la più grande tragedia mai accaduta in Italia in tempo di pace», continua a interrogare le coscienze ma purtroppo, nonostante le gravi conseguenze, alcuni comportamenti irresponsabili e criminali continuano a ripetersi: «cosa pensare dei recenti fatti riguardanti la presunta conoscenza da parte dirigenziale di criticità importanti nel comportamento dell’ormai conosciuto Boeing 737-max? Cosa pensare dell’“ammorbidimento” di alcune verifiche tecniche sui Viadotti Italiani, avvenuti anche dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova?».

Le vite distrutte, il dramma dei sopravvissuti e delle vittime, perfino la valutazione dei danni inducono a riflettere nel dubbio che disastri ambientali e incidenti non siano frutto del caso o di una fatalità, ma in molti casi si sarebbero potuti prevedere, e probabilmente evitare se solo si fosse agito con maggior criterio e senso di responsabilità, tenendo conto dei fattori di rischio e informando la popolazione. “Il Racconto del Vajont” di Marco Paolini rappresenta, afferma Alberto Rubinato, «un potente antidoto contro future scelte sbagliate e comportamenti scorretti».

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