ORISTANO città d’arte, arena artistica di Roberto Cau, con”Le mostre impossibili”

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Roberto Cau è un artista quieto e perseverante non paragonabile per intemperanze né al Bernini tanto meno al Caravaggio. Con essi può condividere, per ispirazione, le dimensioni prospettiche delle sue tele: i trittici architettonici con vista sul golfo di Oristano delle origini; oppure la reinterpretazione di alcuni temi e soggetti rinascimentali e barocchi rivisitati attraverso le forme scarabeiche. Già lo scarabeo: una delle idee formali (una fissazione?) a cui si rifà per narrare gli ambiti della condizione umana o in chiave pseudo-archeologica, la classicità. Non a caso un’area della sua Casa editrice sita in via Bellini 15 (Roberto Cau è anche editore), è “piccolo museo” dello scarabeo. Trovano spazio espositivo manufatti e riproduzioni di numerosi esemplari, nonché fotogrammi di esemplari originali rinvenuti a Tharros o provenienti dall’Egitto; e diverse opere in ossidiana, o altre pietre o legno, di differenti dimensioni reinterpretati da artisti o artigiani della stessa provincia di Oristano; alle pareti anche qualche interpretazione pittorica dello stesso Cau del “kheperer” sacro, caro ai faraoni e ai popoli mediterranei in genere. In tale contesto la funzione magica-apotropaica di eterna rinascita e felicità nel divenire, sarà davvero assicurata? Lo scarabeo egizio che tanto caratterizza l’universo artistico dell’editore dell’EPDO, migliorerà davvero le facoltà intuitive e spirituali dei visitatori? Il solo vedere e osservare l’amuleto sacro sarà di buon auspicio? Sarà comunque acquisizione del bello, e ogni visitatore potrà giovarsene. Tornando ai trittici di cui si parlava in apertura, credo sia importante puntualizzare che il loro valore espressivo non sta solo nell’aspetto estetico o nelle invenzioni degli orizzonti, quanto anche nelle architetture retrostanti -le corti ospitanti giardini ed altro- che preludono a scenari di ben altro valore, di cui la marina di Oristano avrebbe potuto giovarsi. E’ vero il contrario, invece; e cioè che Torre Grande langua, sporcata e snaturata, cosicché le sue dune e le palme restano solo un ricordo dei più vecchi o dei dipartiti. Se il lungomare fosse arretrato di due isolati e le costruzioni avessero avuto fogge e caratteristiche come quelle dipinte dal Cau: che valore avrebbe, oggi, la beach di Oristano? Una delle ultime fatiche artistiche del pittore di via Bellini -Roberto Cau- ha come titolo “papiri”. Non perché l’artista dipinga sulla superficie scrittoria originata dalla cyperaceae, quanto perché la sua opera narrativa appare in successione -ingannevolmente- in forma di codice srotolato di papiro. E’ una belle trovata artistica quella dei “papiri”, quanto originale, che trasporta l’osservatore/lettore all’interno di mondi sconosciuti e non, che nell’erranza dei personaggi, sinteticamente tratteggiati, indaga come sempre la condizione umana nei suoi slanci conoscitivi o tragici. La stessa opera appare da tempo sui “social” o in rete esposta in ambiente surreale o forse anche metafisico per la staticità dell’ambiente espressivo. E surreale perché? Per il portato narrativo onirico che, attingendo dall’irrazionale, tende a rivelare quanto di remoto, di indicibile, galleggia nella psiche? L’intento dell’artista sarà quello di esprimere una realtà superiore o quantomeno una visione più reale e demistificata della stessa? Nella stanza tridimensionale e virtuale che ospita i “papiri” -che non sono tali!- l’autore è seduto in bella mostra su una sedia (esibizione di se stesso o ulteriore indagatore?) e quasi si disinteressa della sua opera. Non è distratto; ha già creato. L’opera è alle spalle e intorno a lui. Cerca altro, viaggia verso le Torri Di Orion, alla ricerca di nuove ispirazioni perché è nell’azione che si crea l’opera d’arte, che non può essere puro ornamento ma disincantata storia. Storia per immagini, vere e proprie scenografie minimaliste sia cromaticamente, sia per il profilo delle figure evocate. Che concorrono a sviscerare universi desideranti o deliri d’onnipotenza propri dell’umanità. In un altro contesto virtuale i “papiyros” ridisegnano lo spazio in cui si ergono i monumenti: le torri di Mariano in Piazza Roma a Oristano e quella marinara di Torre Grande, conferiscono all’ambiente una dimensione inusuale che in prospettiva suggeriscono la possibilità di riscrivere la fruizione dei luoghi, degli ambienti cittadini. Ancora una volta l’arte è capace di proporre scenari futuribili, che possono certo migliorarci attraverso catarsi ambientali. Un concetto contiguo alla Feng Shui, che concorre sempre ad abbellire la nostra vita. Vi è una morale in tutta questa scansione artistica narrata dal CAU? Quale mistero cela, quale captazione kosmika, a che tipo di purificazione sottende? La sua arte è in linea col dettato della “Società dello spettacolo”, oppure è il suo contrario che si manifesta “nell’erranza”, nel viaggio/sfida/sogno dei suoi interpreti?

Michele Licheri

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