Bandiere sarde e bandiere palestinesi sventolano insieme aprendo il corteo “Palestina libera”. Sabato 28 ottobre Sassari è stata “invasa” da un serpentone di cittadini di tutto il mondo, molti i giovanissimi di varie provenienze: sardi, palestinesi, marocchini, senegalesi, maliani, somali, gambiani (presente in forze anche la Gambia Society).
Il filo rosso (è il caso di dirlo, visti li striscioni vecchia scuola realizzati con vernice rossa) è il medesimo “Intifada fino alla vittoria”: «una manifestazione così per la Palestina non la si vedeva a Sassari dagli anni Ottanta, ai tempi d’oro dell’OLP e di Arafat» – dichiara Angelo Marras, storico sostenitore della causa palestinese -«ma oggi è diverso, in piazza ci sono tutte le generazioni e tutte le etnie. È una miscela politica potentissima!».
Ad organizzare la manifestazione la storica associazione di Amicizia Sardegna Palestina, l’associazione turritana Sa Domo de Totus e il Fronte della gioventù comunista. Si sono poi uniti nello sforzo organizzativo gli antimilitaristi di A Foras, Potere al Popolo Sardegna, Rosso Mori, Sardegna Possibile, Progetto per Nuoro, il collettivo artistico CLIP (che ha letto alcuni brani poetici in piazza S. Caterina) e i senegalesi di Patriotes du Sénegal – Pastef.
Il serpentone colorato e allegro contrasta con le terribili immagini provenienti dalla Palestina. Ancora l’annunciata «invasione di terra» della Striscia di Gaza da parte di Israele non è iniziata ma il bilancio è già pesantissimo: oltre 8 mila morti accertati, più di 20 mila feriti, un numero impressionante di civili, donne e bambini, tra cui le vittime del bombardamento dell’Al-Ahli Arabi Baptist Hospital di Gaza City.
Ieri, con la manifestazione «natzionale» di Sassari – come hanno tenuto a precisare gli organizzatori – la Sardegna ha risposto ad un appello internazionale per una pace giusta in Palestina «il che significa – ha sostenuto in collegamento telefonico Fawzi Ismail di Sardegna Palestina «la fine dell’occupazione a danno dei palestinesi».
Arrivati in piazza S. Caterina sono stati tanti gli interventi, tra cui diversi artistici. Fra gli altri Luca Fancello ha letto “Versi da una sedia sul muro” di Najwan Darwish, Roberta Campagna “Il paese dei martedì” di Khaled Soliman Al Nassiry, Sara Scodino “Il Poema Bomba di Samih al-Qaim”, Filippo Kalomenìdis “Il Tempo Parallelo di Walid Daqqah.
Di mano in mano il microfono è passato a dare voce a tutte numerose comunità migranti che spesso vivono in un centro storico che, anche recentemente, è balzato agli onori della cronaca per fatti di criminalità e degrado. Ieri però si è manifestato un altro scenario cittadino, multiculturale e intergenerazionale e sono stati in tanti a prendere parola, non solo per chiedere la fine dei bombardamenti a Gaza o per leggere un testo poetico, ma anche per pregare ognuno il proprio Dio o la propria fede nella giustizia e nella pace.
Ma la «cultura della guerra e del colonialismo» – ha sostenuto Fabrizio Cossu, presidente di Sa Domo – «deve cessare anche in Sardegna. Riteniamo inaccettabile che sulla nostra terra possano addestrarsi liberamente Stati che sistematicamente violano i diritti umani, bombardano civili e privano del diritto all’autodeterminazione altri popoli oppressi, come fanno appunto gli israeliani. Noi sardi conosciamo bene cosa voglia dire non avere sovranità sulla propria terra e per questo motivo siamo solidali con tutti i popoli che nel mondo lottano per far valere questo principio».
La serata si è conclusa con una raccolta fondi da destinare all’acquisto di beni di prima necessità, medicine e alimenti, in accordo con il Comitato Solidarietà con la Palestina – Sardegna, il Centro Culturale Handala Alì, i Giovani Palestinesi d’Italia, e l’Unione Democratica Arabo Palestinese.