Il 15 dicembre si celebrerà la prima udienza del processo in cui è imputato Roberto Saviano per diffamazione contro Giorgia Meloni. Saviano, a dicembre 2020, in diretta televisiva su Rai Tre, chiamò la leader di Fratelli d’Italia “bastarda”.
All’udienza a Roma parteciperà anche Michela Murgia. Non per dare solidarietà alla Meloni, come ci si aspetterebbe dalla scrittrice paladina delle donne e dello schwa, bensì per sostenere il collega maschio che ha insultato una donna.
Lo ha annunciato oggi sulle colonne dell’Espresso: “Il 15 novembre c’è il rinvio a giudizio di Saviano, reo di aver detto una parola contraria a Meloni e Salvini sulla responsabilità dei morti nel Mediterraneo” scrive nel suo editoriale Murgia: “ Il primo gesto di Meloni da presidente del Consiglio potrebbe dunque essere quello di portare alla sbarra un intellettuale di fama internazionale che le ha espresso dissenso. A quell’udienza ci sarò anche io. Voglio vederla in faccia questa destra che appena sente la parola cultura mette mano alla querela”.
Quindi secondo Murgia dire “bastarda” a Giorgia Meloni è “cultura”.
Eppure proprio lei ha scritto un libro che si chiama Stai zitta. E altre nove frasi che non vogliamo sentire piú.
Nel saggio Murgia (senza articolo d’avanti, per lei sarebbe sessismo anche quello!) elenca tutti gli epiteti e modi di dire correnti che, a suo dire, insultano le donne.
Non solo sessismo linguistico, ma veri e propri femminicidi verbali.
“Se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. È una morte civile, ma non per questo fa meno male”. Si legge nella sintesi di copertina: “Accade ogni volta che rifiutano di chiamarvi avvocata, sindaca o architetta perché altrimenti ‘dovremmo dire anche farmacisto’. Succede quando fate un bel lavoro, ma vi chiedono prima se siete mamma. Quando siete le uniche di cui non si pronuncia mai il cognome, se non con un articolo determinativo davanti. Quando si mettono a spiegarvi qualcosa che sapete già perfettamente, quando vi dicono di calmarvi, di farvi una risata, di scopare di piú, di smetterla di spaventare gli uomini con le vostre opinioni, di sorridere piuttosto, e soprattutto di star zitta”.
Per Murgia dire a una donna che “fa la maestrina” è sessismo, mentre darle della “Bastarda” è cultura.
O è “cultura” solo perché la “bastarda” è Meloni?. Forse l’insulto per essere tale dipende da chi lo dice, e da chi lo riceve.
Quando infatti sono rivolti a lei, Murgia si offende per molto meno.
Alla fine del primo governo Conte addirittura associò gli insulti ricevuti, al mandato al Viminale di Salvini: “Scrofa. Palla di lardo. Cesso ambulante. Vacca. Peppa Pig. Stria. Sono sui socialmedia da 11 anni, ma quello che mi sono sentita dire negli ultimi 14 mesi non ha precedenti.
14 mesi. Tanto è durato il governo uscente, tanto è durato il processo di promozione dell’insulto da bar a linguaggio istituzionale”, scrisse Murgia in un post ad agosto 2019. “Questi commenti sono apparsi a centinaia sulle pagine ufficiali di un partito e di un ministro e non sono mai stati rimossi senza ricorrere a segnalazione o querela. Si chiama ‘bodyshaming’, denigrazione del corpo, ma in realtà serve ad annichilire lo spirito. Non so e non credo che il bodyshaming sulle donne finirà. So però che è essenziale non farsene spezzare. Per ogni ‘cesso’ o ‘scrofa’ che riceviamo, l’antidoto è ricordare la forza che quelle parole vorrebbero spegnere. La bellezza che sappiamo riconoscere in noi stesse è la fonte della libertà che vorrebbero negarci”.
Invece chiamare “porco” Salvini non è bodyshaming. E nemmeno chiamare “bastarda” Meloni come ha fatto Saviano.
fonte il giornale