Nela Ionica Drosu, romena di etnia rom, è stata condannata a due anni e due mesi. La donna è accusata di aver cercato di incolpareoun poliziotto per un fatto inesistente. L’episodio risale al 2014, quando la donna riferì ai medici di avere perso il bambino che aspettava (era al sesto mese di gravidanza) a causa di una manganellata inferta un paio di giorni prima, da un agente di polizia durante i tafferugli scoppiati nel corso di una manifestazione contro gli sgomberi di case occupate a Milano. Il pm di Milano Gianluca Prisco, nel corso della sua requisitoria ha chiesto la condanna perché: “Ha ripetutamente pianificato la calunnia e ha sempre mentito”. Gli accertamenti sul feto e sulla placenta effettuati durante la visita medica sulla donna, arrivata in clinica la sera del 20 novembre, hanno impedito che la donna “rovinasse la vita a un poliziotto”.
Non c’erano “segni di ematomi” sull’addome di Nela Ionica Drosu, lo ha sostenuto nel corso del processo Sarah Salmona, la ginecologa che la notte ha visitato la donna arrivata al pronto soccorso. Nela Ionica Drosu, ha sostenuto il pm nella requisitoria, avrebbe anche “offerto dei soldi” ad alcuni testimoni per confermare la sua versione dei fatti. E la sorella, secondo l’accusa, avrebbe reso “false” dichiarazioni parlando addirittura di “tre manganellate”.
La decima sezione penale del Tribunale di Milano ha riqualificato il reato da “calunnia” a “simulazione di reato”.
Adi Drosu, sorella della donna, a cui sono state concesse le attenuanti generiche, è stata condannata a 8 mesi di reclusione, con pena sospesa. L’avvocato Gianluca Presutto, legale della 37enne, subito dopo la lettura del dispositivo ha annunciato ricorso in appello.