Passi avanti all’Ecofin sulla riforma del Patto di stabilità europeo, con un palpabile ottimismo sulla possibilità di concludere entro fine anno la trattativa approvando le nuove regole fiscali in Consiglio Ue. A tal punto che la presidenza di turno spagnola è pronta a convocare una riunione straordinaria dei ministri Ue dell’Economia a fine mese, si ipotizza attorno al 23 novembre. E se i frugali e la Germania innanzitutto sembrano decisamente soddisfatti dall’aver ottenuto il principio di fissare dei precisi parametri numerici, o ‘benchmark’ – ancora tutti da negoziare – e Berlino è ancor più contenta di aver fatto passare il principio di salvaguardia sulla “resilienza del deficit”, dall’Italia proprio sul deficit sembra arrivare un altolà. La trattativa è ancora aperta ma secondo fonti del Mef fissare un obiettivo sul disavanzo con un ulteriore margine sotto al 3% del Pil sarebbe fortemente penalizzante: piuttosto sarebbe più semplice tornare alle vecchie regole fiscali sospese a inizio pandemia. Non si temono invece salvaguardie numeriche sul calo medio annuo del debito, purché siano su valori sostenibili e credibili. Roma, comunque, stando al nuovo documento di lavoro sulla riforma del Patto messo a punto da Madrid porta a casa qualcosa in più sugli incentivi agli investimenti, fortemente voluti anche dalla Francia. Non c’è lo scorporo o ‘golden rule’ sul green e il digitale dal conteggio della spesa (al centro della riforma del Patto ci saranno dei piani sulla spesa primaria netta a 4 anni, estendibili a 7). Ma accanto agli impegni sui Pnrr, già considerati dal testo precedente, è spuntata anche una sorta di eccezione degli investimenti legati al cofinanziamento nazionale dei fondi Ue: come “soluzione transitoria” per estendere i piani fino a 7 anni varranno i Pnrr. E
i progetti finanziati dal Pnrr nel 2025 e il cofinanziamento nazionale dei fondi Ue, poi, saranno presi in considerazione ogni volta che uno Stato membro richiede un’eccezione alla salvaguardia del non-backloading – cioè del principio voluto per evitare rinvii al consolidamento dei conti, chiedendo aggiustamenti lineari e dall’inizio dei piani di spesa – a condizione che ciò non metta a repentaglio la sostenibilità fiscale nel medio termine”. Concretamente, però gli unici “fattori rilevanti” sul conteggio del deficit nel nuovo piano saranno gli investimenti nella difesa (considerati nelle procedure di infrazione). Un altro punto in trattativa a favore dei Paesi con un debito oltre al 60% del Pil è anche l’aggiornamento sui tempi di rientro: secondo l’ultima versione (la ‘proposta danese’ per sbloccare il negoziato) la salvaguardia sul calo del debito scatterebbe nei 4 anni successivi al periodo di aggiustamento che ha una durata di 4-7 anni. I tempi quindi si allungano a 8-11 anni. E’ un periodo maggiore ma comunque inferiore alla proposta iniziale spagnola che ipotizzava di calo a 14-17 anni. I tedeschi invece chiedevano un taglio già nell’ultimo anno di piano. Non va dimenticato su tutto che al momento Berlino porta a casa un principio rivoluzionario rispetto al tetto del disavanzo al 3% dei Pil previsto dai Trattati Ue. Gli Stati dopo aver portato il debito in un percorso discendente come da riforma dovranno avere un “margine di sicurezza” (da trattare) sul deficit come paracadute ai conti in caso di un ciclo economico sfavorevole. Per Roma sarebbe penalizzante, appunto, ma per Berlino si è rivelato un aut-aut. Nadia Calvino, ministra dell’Economia della Spagna e alla presidenza Ue, ha però escluso che qualche Stato abbia chiesto un ritorno al vecchio Patto piuttosto di avere questa riforma. “Quello che abbiamo sentito oggi è un impegno molto forte ad adottare le nuove regole”, ha detto. Nella trattativa il “mood è eccellente” e “stiamo movendoci sulla giusta direzione”, ha affermato il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire. “Sono più ottimista che si possa raggiungere un accordo quest’anno”, ha detto Lindner.