Prosa, “Prometeo” in scena a Sassari e a Pula

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Visioni di un mondo aurorale, all’inizio dei tempi, tra lo scontro tra dèi e titani e la nascita dell’umanità, in “Prometeo”, uno spettacolo di Gabriele Vacis e Roberto Tarasco con i giovani attori di PEM / Potenziali Evocati Multimediali.

Tratto dalla celebre tragedia di Eschilo riletta con sensibilità contemporanea, lo spettacolo è in cartellone in prima regionale giovedì 6 luglio alle 21 sul palco di piazza Santa Caterina a Sassari per l’apertura della programmazione dell’Estate 2023 nel capoluogo turritano firmata CeDAC Sardegna con il patrocinio e il sostegno del Comune di Sassari e venerdì 7 luglio alle 20 al Teatro Romano di Nora, a Pula dove inaugura la XLI edizione del Festival “La Notte dei Poeti” organizzato dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna con il patrocinio e il sostegno del MiC / Ministero della Cultura, della Regione Sardegna e del Comune di Pula e con il contributo della Fondazione di Sardegna.

Una mise en scène affascinante e coinvolgente del dramma antico incentrato sulla figura del titano ribelle, reo d’aver sottratto il fuoco, simbolo della conoscenza, alle divinità per farne dono ai mortali, suscitando così l’ira di Zeus, signore dell’Olimpo, per la nuova produzione di Nidodiragno / CMC e PEM / Potenziali Evocati Multimediali: il “Prometeo incatenato” (Προμηθεὺς δεσμώτης) di Eschilo, al centro della trilogia comprendente il “Prometeo liberato” e il “Prometeo portatore del fuoco” (dei quali restano solo preziosi frammenti), rappresentata per la prima volta ad Atene intorno al 460 a.C., racconta la crudele punizione di colui che diede agli uomini la speranza a fronte della paura della morte, risvegliando in essi il pensiero e la coscienza, insegnando la scrittura e l’arte della medicina, oltre alla mantica per interpretare i segni e indovinare il futuro.

Sotto i riflettori Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Chiara Dello Iacovo, Pietro Maccabei, Eva Meskhi, Erica Nava, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti, Letizia Russo, Lorenzo Tombesi e Gabriele Valchera, protagonisti del suggestivo allestimento con scenofonia di Roberto Tarasco, suono di Riccardo Di Gianni e cori a cura di Enrica Rebaudo che fa rivivere il mito attraverso la forza evocativa del teatro e la potenza immaginifica della poesia.

Nel “Prometeo” di Gabriele Vacis, uno dei più importanti registi italiani del secondo Novecento, drammaturgo e sceneggiatore, co-fondatore del Laboratorio Teatro Settimo e artefice di spettacoli pluripremiati, a partire da “Esercizi sulla tavola di Mendeleev” e “Elementi di struttura del sentimento” (da “Le affinità elettive” di Goethe), e poi “Riso amaro”, “La Storia di Romeo e Giulietta” da Shakespeare e la goldoniana “Trilogia della Villeggiatura”, accanto a “Nel Tempo tra le guerre”, “Libera Nos” dalle opere di Luigi Meneghello, “Sette a Tebe” da Eschilo e “Uccelli” da Aristofane”, “Dei liquori fatti in casa” con Beppe Rosso,“Novecento” di Alessandro Baricco, “Tartufo”, “Olivetti”, “Un giorno di fuoco”, e ancora “Fenicie” da Euripide e lo shakespeariano “MacbethConcerto”, fino ad “Antigone e i suoi fratelli” da Sofocle, l’eco di una memoria ancestrale si fonde all’attualità.

«Abbiamo molte storie sulla nascita dell’uomo» – sottolinea Gabriele Vacis –. «Nella mitologia greca stessa non esiste un’unica storia. Una delle più accreditate racconta degli dei che avevano sconfitto i loro antenati, i titani. Quindi Zeus diventò il re degli dei, con l’aiuto di Prometeo. Prometeo è figlio di un titano, Giapeto e di sua sorella Rea, la generazione più antica, nata direttamente dal cielo e dalla terra. Prometeo però, presumibilmente, appartiene alla generazione di Zeus. Quindi è un giovane che si ribella ai suoi stessi genitori alleandosi con i suoi coetanei».

In un’epoca remota, quando il cosmo è dominato da forze primordiali, si afferma la supremazia delle nuove divinità dell’Olimpo, nate dall’unione tra Rea e Crono, come narra Esiodo nella “Teogonia”«Gli uomini non sono ancora stati creati» – prosegue il regista –. «Quando gli dei si rendono conto che non c’è un animale in grado di governare su tutti gli altri decidono di creare l’uomo. L’incarico viene affidato a Prometeo, perché lui è “l’accorto”, quello che vede prima cosa succederà. Siamo proprio all’inizio, quindi. Quando gli dei sono nati da poco e gli uomini stanno per nascere. E’ un tempo giovane».

Agli albori della civiltà, quando ci si incomincia a porre l’interrogativo sulle origini del cosmo e sul significato dell’esistenza, prendono forma i miti, racconti fantastici che scaturiscono dall’immaginario individuale e collettivo e si tramandano di generazione in generazione, per spiegare l’evoluzione dal caos alla realtà conosciuta, da cui il teatro greco trarrà materia di narrazione, ricca di simbolismi e analogie con il presente. 

«La tragedia di Eschilo coglie il momento del conflitto tra Zeus e Prometeo, dopo che il figlio del titano ha protetto gli uomini, la sua creazione, dal dio capriccioso a cui gli uomini già non piacevano più, era geloso perché assomigliavano troppo agli dei. E come li protegge Prometeo? Donando loro il fuoco, cioè la tecnologia» – afferma Gabriele Vacis –. «Quando Zeus scopre che il suo amico gli ha rubato il fuoco per donarlo agli uomini si sente tradito e punisce Prometeo nel peggiore dei modi: lo spedisce ai confini del mondo, che per i greci era il Caucaso, e lo fa incatenare ad una rupe dove tutte le mattine un’aquila verrà a divorargli il fegato che ogni notte gli ricresce».

Il titano Prometeo, esiliato e imprigionato su una roccia alla mercé di un rapace, incarna lo spirito ribelle e l’irrequietezza della gioventù, insofferente davanti alla legge dei padri come all’autorità del potere, ma anche animata da generosità e coraggio, fino alla temerarietà, come da un profondo senso di giustizia: il gesto filantropico e per certi verso folle ed estremo dell’eroe di stirpe divina, stravolge le regole e pone al centro il bene dell’umanità.

Il viaggio dalle tenebre dell’ignoranza alla luce della conoscenza viene rappresentato nella mitologia in varie forme, ma certo la scoperta del fuoco, come difesa dalle belve, sollievo nel freddo e nel buio della notte, strumento per cuocere i cibi e forgiare i metalli rappresenta un momento cruciale nell’evoluzione, così come la capacità di custodire, e successivamente di far scaturire apparentemente dal nulla uno dei quattro elementi attraverso cui si afferma il potere dell’uomo sulla natura.

«Prometeo, simbolo della ribellione, è un personaggio che i giovani amano perché, come loro, non riesce a contenere i suoi sentimenti e la sua forza dei recinti stabiliti dalle convenzioni, quindi la sfida all’autorità costituita è la sua condizione vitale» – ricorda Gabriele Vacis –. Ma attraverso il suo consapevole sacrificio, Prometeo diventa anche, sostiene Vacis, «l’archetipo della conoscenza tecnologica e scientifica liberata dalle catene della superstizione e dell’ignoranza».

Nella sua versione del “Prometeo” il regista piemontese si confronta con uno dei capolavori della storia del teatro: «Come sempre nei classici è facile ritrovare situazioni e problemi di oggi. Si dice che i classici sono attuali. Ma più che altro sono contemporanei. Spesso usiamo attualità e contemporaneità come sinonimi, ma attualità è stare in un solo tempo: adesso. Contemporaneità è riuscire a comprendere tutti i tempi». La pièce interpretata dai giovani attori di PEM parte dal “nucleo pesante” del dramma, nel tentativo di «calarsi” nel sentimento tragico che l’opera eschilea propone, mettendo a punto una lingua che preservi la “solennità” dei millenni ma che renda comprensibile al pubblico di oggi il senso».

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