Putin gioca la carta Kursk: “Tutto sotto controllo, ma la tregua è un rebus”. Trump: “Spero non deluda il mondo”

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Mosca, 13 marzo 2025 – Un Vladimir Putin sicuro di sé lancia un messaggio al mondo: la regione di Kursk è un fortino russo, e da lì partono le sue condizioni per una tregua. “Sono stato ieri a Kursk, la situazione è completamente sotto il nostro controllo”, ha dichiarato il leader del Cremlino, dipingendo un quadro di dominio assoluto. “I soldati ucraini? Isolati, abbandonano equipaggiamenti, cercano di scappare a piccoli gruppi. Per loro solo due vie: morire o arrendersi”. Eppure, nonostante il tono trionfale, Putin non chiude la porta a un cessate il fuoco: “Molto resta da discutere, ma l’idea di una tregua di 30 giorni potrebbe convenire a Kiev”.

Dall’altra parte dell’oceano, Donald Trump coglie la palla al balzo. “Parole promettenti”, le definisce, ma con un monito: “Se Mosca rifiuta la pace, sarebbe una delusione per il mondo”. Il presidente Usa, reduce da un incontro con il segretario NATO Mark Rutte, sembra voler vestire i panni del mediatore, lasciando intravedere una possibile telefonata con Putin. “Sosteniamo la fine pacifica di questo conflitto”, ha ribadito il Cremlino, aprendo uno spiraglio che elettrizza la diplomazia globale.

Kursk, la chiave di tutto

Putin non si limita a vantare successi militari. Usa Kursk come leva per alzare la posta nei negoziati. “I gruppi ucraini sono accerchiati, la situazione sul campo deve essere il punto di partenza”, insiste, snocciolando dubbi che sembrano più provocazioni che domande: “Una tregua di 30 giorni? E poi? I soldati ucraini che hanno commesso crimini se ne vanno liberi o si arrendono? E lungo i 2000 chilometri di fronte, chi controlla cosa?”. Il leader russo dipinge uno scenario di caos potenziale: mentre le truppe di Mosca avanzano “in ogni settore”, una pausa potrebbe dare a Kiev il tempo di riorganizzarsi, mobilitare forze e ricevere armi. “O forse no?”, aggiunge con un sorriso sornione, lasciando il dubbio nell’aria.

Trump e il telefono che scotta

Le “sfumature”, come le chiama Putin, sono un groviglio di nodi da sciogliere. “Chi ordina il cessate il fuoco? Chi giudica le violazioni? Quanto valgono gli ordini su un fronte così vasto?”. Domande che pesano come macigni, ma che non sembrano scoraggiare il dialogo. “Potrebbe esserci una telefonata con Trump”, ammette Putin, accendendo i riflettori su un possibile faccia a faccia telefonico tra i due leader. Un’immagine che farebbe tremare i palazzi della diplomazia, da Washington a Kiev.

Zelensky provoca: “Solo propaganda”

A Kiev, però, l’atmosfera è gelida. Volodymyr Zelensky liquida le aperture di Putin come “propaganda prevedibile”. “Sta preparando un rifiuto mascherato da negoziati”, tuona, mentre il suo governo guarda con sospetto a una tregua che potrebbe rivelarsi una trappola. Sullo sfondo, i colloqui tra Putin e l’inviato Usa Steve Witkoff proseguono a Mosca, avvolti in un silenzio carico di tensione.

Il mondo trattiene il fiato

Tra il controllo di Kursk e i 2000 chilometri di fronte, tra le avance russe e le perplessità di Putin, la tregua resta un’ipotesi tanto affascinante quanto sfuggente. Trump ci crede, o almeno ci prova

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