Quattro storie al femminile per conoscere la Cagliari del passato: le donne nobili (3)

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Edificato dai Pisani nel XIII secolo, con mura, torri e bastioni, Castello divenne da subito sede del potere civile, militare e religioso; Castel di Castro (o casteddu de susu in sardo), è il primo nucleo di quella che è la città arrivata ai nostri giorni.

Castello, aveva un impianto architettonico importante: niente a che vedere con le case a schiera, basse e costruite ammassate le une alle altre, degli altri quartieri della citta.

A Castello c’erano e ci sono ancora adesso palazzi nobiliari, distribuiti su un tessuto urbano distinto su quattro strade parallele; in quei palazzi finemente affrescati, dotati di scaloni a più rampe, di cisterne per la raccolta dell’acqua scavate nel tufo ed androni per il ricovero di carrozze, abitavano le castellane, le donne nobili.

Erano donne fortunate e di alto censo, che diversamente dalle schiave e dalle popolane, vivevano negli agi e nel lusso.

Di queste donne d’alto rango, possiamo distinguere due categorie: quelle che venivano educate per il matrimonio, che doveva rispondere a progetti ben pensati di ascesa sociale o di semplice consolidamento del patrimonio familiare e quelle che erano dalla famiglia, destinate a prendere l’abito monacale.

La donna di tale rango – spiega la guida Claudia Farigu – non aveva molta libertà in merito alla scelta del proprio futuro e sopratutto del marito; solo quelle che, per fortuna o sfortuna erano rimaste vedove, godevano della facoltà di decidere se maritarsi di nuovo ed eventualmente con chi piacesse loro. La nobildonna poteva risposarsi con facilità a prescindere dall’aspetto e dall’età, posto che la dote non era certo un problema; se invece preferiva restare sola per il resto della propria esistenza, viveva con dignità, godendosi la propria indipendenza”.

L’eredità del patrimonio feudale, nella nobiltà iberica-sarda che abitava a Castello, era tramandata al primogenito maschile e solo in mancanza di figli maschi si poteva ipotizzare che l’eredità andasse alla figlia maggiore: questo sistema aveva comportato nel tempo l’estinzione di molte famiglie nobili; infatti i figli cadetti tendevano a non sposarsi, ma ad intraprendere la carriera militare o ecclesiastica, mentre le figlie minori spesso erano destinate al convento. Se poi il primogenito moriva senza poter assicurare a sua volta la necessaria discendenza, il nome della nobile famiglia non aveva più futuro.

Ecco perchè era di fondamentale importanza – per far sopravvivere il nome della casata – saper intrecciare le giuste relazioni per garantire accordi matrimoniali che nel lungo termine, avrebbero dato i loro frutti.

Da questo punto di vista – racconta ancora Claudia Farigu – la storia familiare di Giuseppe Amat Malliano, primogenito ed erede della baronia di Sorso e Sennori, ne è un chiaro esempio: i suoi due fratelli intrapresero la carriera militare, mentre le quattro sorelle ‘scelsero’ l’abito monacale. Lui sposerà Speranza Vico Zapata, marchesa di Soleminis con la quale avrà tre figli. Il primogenito muore giovanissimo, quindi ad ereditare i feudi paterni e materni sarà la figlia Eusebia Amat Vico, la quale a soli 17 anni – nel 1789 – sposerà il 35enne Marchese di San Filippo, Giovanni Amat Manca. Così facendo si assicurò la continuità del nome degli Amat, visto che lo sposo era di un altro ramo della famiglia, unendo al contempo un vasto patrimonio”.

Quando di dice matrimoni di interesse; se ad Eusebia era andata abbastanza bene per la differenza d’età, altrettanto non può dirsi per Francesca Manca Aymerich, anche lei diciasettenne.

Racconta infatti la nostra guida che, “la fanciulla, due anni prima aveva sposato il Marchese di Villarios che di anni ne aveva quasi 40 più di lei. La giovane Marchesa Francesca, protagonista della vita mondana, è un esempio perfetto della nobildonna cagliaritana che amava gli svaghi: frequentava il teatro, le ‘accademie musicali’ del venerdì sera, sapeva dipingere e le piaceva danzare durante le feste nei salotti dei palazzi in Castello. Di lei, fa una descrizione accurata il capitano dei marines David Sutherland, in onore del quale il viceré organizzò nel 1787 un pranzo, seguìto da balli fino a tarda notte. Il giovane si farà incantare dalla disinvoltura e la vivacità di Francesca, con la quale si dice abbia ballato fino alle prime ore del mattino. Il capitano scriverà che le ‘ladies sarde’ dicono sempre ciò che pensano, si lasciano baciare le mani e abbracciare durante il ballo. Tuttavia la loro spontaneità non ha nulla di malizioso, dal momento che la nobiltà è una società chiusa, in cui i legami fra le persone sono generalmente conosciuti. Non a caso, le unioni matrimoniali venivano combinate nell’ambito di una cerchia molto ristretta di famiglie, con gli sposi che spesso sono imparentati e si conoscono da sempre”.

Le donne nobili assumono un ruolo di mediatrici al più alto livello; favoriscono tutti i rapporti che devono rimanere su un piano informale e fuori dai palazzi del potere (che sono riservati ai mariti), organizzando le c.d. ‘conversazioni’ dove si scambiano le visite e spesso invitano gli ufficiali sbarcati in città che ovviamente devono essere ‘di qualità e di rango’.

Questi ricevimenti sono l’essenza della vita sociale mondana, l’occasione nella quale mostrare la propria raffinatezza e il benessere economico della famiglia.

“Speranza Vico Zapata – spiega ancora Claudia farigu – amava ricevere due volte all’anno quando tornava in città; in quella occasione offriva squisitezze di ogni tipo, caffè e cioccolata, vino di Malaga, di Corfù, torroni di Alicante, nocciole e naturalmente il sorbetto d’estate. L’aristocrazia si adegua ai gusti dei regnanti prima catalani, spagnoli e poi piemontesi. Nella seconda metà del ‘700 non mancherà l’occasione di ostentare argenteria e porcellane di prestigio. Le nostre dame hanno acquisito il gusto piemontese a tavola e fanno servire pietanze a base di piccioni in salsa di limone e biscottini di polenta”.

La donna aristocratica aveva una buona istruzione, sapeva leggere, scrivere e far di conto, cosa di vitale importanza per poter curare gli affari dei feudi o presso la Corte, nel momento delle lunghe assenze dei mariti. Oltre a ciò, la nobildonna era anche la padrona della casa (Sa Meri de dommu): si occupava di questa e della famiglia, della servitù e di tutti gli altri numerosi dipendenti che ogni famiglia aveva al suo servizio.

“La sua – sottolinea Claudia – era una posizione socialmente molto rispettata, al pari di quella del marito. Aveva il privilegio di non conoscere il lavoro fisico e per quanto riguarda l’educazione dei figli, questa non era un peso, dal momento che poteva contare su balie, serve e schiave. Non era raro che intervenisse anche a voler dire la sua, in merito ai lavori materiali di sistemazione o restauro del palazzo di residenza. Quando ad esempio, nel 1571 Antioco Noco ristrutturò la sua grande casa del Castello, stipulò un contratto col maestro muratore inserendo la clausola che prevedeva che l’opera non sarebbe stata pagata se non effettuata “conforme alla volontà della Signora”.

Anche se l’amore non era elemento essenziale, la donna nobile non necessariamente doveva farne a meno. Le affinità culturali e di educazione favorivano generalmente un buon rapporto affettivo tra i coniugi e non sempre vi era una significativa differenza d’età tra i due.

“Altrimenti – spiega la nostra guida – la donna di questo rango poteva permettersi tranquillamente un amante, purché però la cosa fosse fatta con discrezione. Vi sono esempi di relazioni extraconiugali risapute, come quella di Francesca Zatrillas, moglie di Agostino di Castelvì, marchese di Laconi, con Silvestro Aymerich, che poi finirà per sposare una volta rimasta vedova”.

Non sempre però il marito era tanto tollerante, vi era addirittura chi pretendeva la castità della moglie qualora fosse diventata vedova. Accadeva in particolare nel ‘400 e ‘500 che i lasciti ereditari venissero vincolati al mantenimento della condizione vedovile; in altre parole se la donna si risposava o prendeva un amante, sarebbe stata privata dei beni lasciati dal marito defunto, i quali sarebbero passati ai parenti del marito.

( … Continua. Nell’ultima puntata, le donne borghesi di Stampace).

Alberto Porcu Zanda

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