Confidenzialmente chiamata The Tube dai londinesi, la più antica rete metropolitana di Londra e, ancor oggi, una delle più estese al mondo, con le sue ramificazioni, i suoi incroci, il geniale schema grafica ideato nel lontano 1931 da Harry Beck e l’inconfondibile roundel, è stata scelta come impianto simbolico e visivo per la mostra ART TUBE, da Woodstock alla Luna.
A cura di Paolo Curreli e Antonio Manca, la mostra, ospitata nei suggestivi spazi del Parco dei Suoni di Riola Sardo, farà da contrappunto visivo, documentario e sonoro al ricco calendario musicale promosso da Rete Sinis e da Dromos Festival per l’estate 2019. Un viaggio che ha le sue radici nel secondo dopoguerra e che si dipana attraverso un’immaginaria linea ferroviaria, una metropolitana che attraversa diverse stazioni fondamentali, facendo salire e incontrare tanti viaggiatori.
Un percorso visivo e immediato scandito dalle immagini delle cover degli album di quei musicisti che, proprio a Woodstock, si sono riuniti trasformando quella “fermata” in epocale, generazionale e fondante. Un viaggio che ognuno di noi può ripercorrere; scendendo e salendo, guardando e ascoltando e suggerendo nuove linee.
Ad aiutarci, in questo percorso della e nella memoria, tanti compagni di viaggio inaspettati: Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso, Robert Frank, William S. Burroughs, i protagonisti della Beat Generation, padri o fratelli di Bob Dylan, di Patti Smith, di Jim Morrison, di Ray Manzarek e di tanti altri. Questi compagni di viaggio sono il seed pervasivo di movimenti culturali, di protesta e di costume che avrebbero coinvolto tutto l’Occidente e le ripercussioni nella musica furono importanti quanto quelle del movimento Hippy nato a San Francisco da una costola della Beat Generation.
Se tirassimo un filo immaginario, o se percorressimo quel Tube che lega il blues con il rock, la pop-art, le proteste per la guerra in Vietnam, il femminismo, le lotte per l’aborto e il divorzio, la minigonna, sino ad arrivare alla legittimazione delle coppie omosessuali e delle droghe leggere, questo filo porterebbe sicuramente alla Beat Generation e troverebbe in quel 1969, carico di musica, di rivendicazioni e di utopie, la sua, la nostra Luna.
Un filo che porta all’oggi e che trova nell’arte contemporanea momenti di riflessione e luoghi di confronto con un passato che non passa, che viene riletto e dissacrato da Robert Gligorov col suo video Air Guitar, dedicato a un’icona come Jimi Hendrix e da Nicola Di Caprio, con le sue irriverenti e corrosive GIF, nelle quali si incrociano e si accavallano arte e musica, religione e politica, filosofia e storia, fumetto e sesso, in un caleidoscopio linguaggio pop-dadaista-surrealista di grande impatto visivo ed emozionale.