Terra antica quella di Sardegna, geograficamente di tipo ‘continentale’ e nata – richiamandosi alle parole del filosofo francese Gilles Deleuze – dalla “disarticolazione, da una erosione, da una frattura, sopravviverà a tutto quello che la tratteneva”.
Isola epicentrica nel Mediterraneo per traffici, storia e cultura millenaria e fortissimamente amata da Marcello Serra illustre scrittore, poeta e drammaturgo sardo che nel 1958 con il suo libro più conosciuto, la definì plasticamente, ‘Sardegna quasi un Continente’: un opera editoriale monumentale, preziosissima e ricca ancora oggi a distanza di sessant’anni di grande fascino, che ha raccontato in circa ottocento fotografie a colori, l’isola e la sua cultura; nel 1961 il libro, fu seguito da un documentario curato dallo stesso autore e con le musiche di Ennio Porrino.
Sardegna che non è chiusa al mondo e che “E’ quasi un continente perchè – come spiega la professoressa Annamaria Baldussi, docente di Storia e Istituzioni dell’Asia ed esperta di migrazioni dell’Università di Cagliari – non ha confini, e la nostra storia dimostra che il mare è un mezzo di comunicazione; la storia della nostra isola infatti è fatta di scambi culturali e continue influenze. Il mare che ci bagna su ogni lato non è una barriera, ma un mezzo di comunicazione”.
Amare la Sardegna, è imparare a conoscerla ed avere il piacere di continuare a scoprirne segreti, perchè ogni volta c’è qualcosa di nuovo che stupisce; bella per le rinomate coste dorate ed il mare cristallino dalle mille tonalità a seconda del fondo del luogo, l’isola in gran parte del suo territorio montuosa, è anche molto apprezzata per il suo paesaggio interno, aspro ed a volte anche inaccessibile; c’è poi una Sardegna diversa, questa volta sotterranea che può disvelarsi casualmente, complice una giornata di maestrale molto intenso, “de bentu strasurau” (direbbero i casteddai veraci) che sconsigliava itinerari di spiagge e mare: conoscere la cavità carsica di Ispinigoli non deve quindi apparire un ripiego, quanto invece la scoperta di una meraviglia davvero inaspettata quanto imperdibile.
La grotta di Ispinigoli si trova in territorio di Dorgali, in pieno Supramonte famoso per i suoi anfratti, utile rifugio negli anni ’60 per la macchia dei più conosciuti nomi del banditismo isolano.
Si tratta di una cavità di straordinaria bellezza e di grande interesse geologico, che è aperta al pubblico dal 1974 e che è stata scoperta ed esplorata dalla metà degli anni ’50 del ‘900; prima di allora, la parte più alta fu utilizzata come rifugio, ma sopratutto il terrazzamento che fa da ingresso alla grotta, come riparo per le greggi dai pastori. Il primo impatto è superlativo, perchè dall’accesso in posizione alta, si gode della impressionante profondità – di circa 40 mt. – della cavità che si apre alla vista nella sua interezza; al centro della sala larga circa 80 mt. spicca un incredibile torrione stalagmitico che collega la volta con il pavimento della grotta stessa; si tratta della colonna calcarea più grande d’Europa e una delle più alte al mondo.
Per arrivare al fondo della grotta, occupato per la gran parte da massi originatisi da crollo, centinaia di migliaia di anni fa, per normali processi geo evolutivi, si devono percorrere 280 gradini di una ripida scala in alcuni tratti sospesa, con una temperatura costante intorno ai 16/18 gradi, in un ambiente incantato dove è un susseguirsi continuo di enormi concrezioni che spiccano dalle pareti accanto a formazioni più piccole di stalagmiti, fino alle formazioni ondulate che sembrano veli e tendaggi mossi dal vento.
È un gioco di colori e chiaroscuri che il calcare giallastro offre con varie forme e sfumature. C’è da dire che attualmente Ispinigoli e da molti anni è in “stato secco” ed inattiva, nel senso che le concrezioni hanno smesso di crescere seppur lentissimamente, segno evidente che nel corso dei secoli l’umidità e l’acqua che filtra dalle falde e che alimenta le formazioni calcaree è ormai inesistente.
La base dell’antro contiene un’altra particolarità, il cosiddetto Abisso delle Vergini, stretto cunicolo od ‘inghiottitoio’, profondo circa 60 metri che si sviluppa per circa 12 chilometri di lunghezza che collega la grotta di Ispinigoli alla Grotta di San Giovanni Su Anzu; il nome deriverebbe dal fatto che – secondo una leggenda – fu un luogo nel quale si compivano sacrifici umani ad opera delle antiche popolazioni fenicie.
In realtà più attendibili studi, sostengono che i monili e le ossa umane rinvenute all’interno dell’abisso sarebbero riconducibili a semplici sepolture databili alla civiltà nuragica.
Ispinigoli, è la parte eclusivamente visitabile di un vasto sistema carsico, con diramazioni e ruscelli sotterranei che prende il nome di complesso carsico Ispinigoli-San Giovanni su Anzu-sos Jocos; sono tre grotte comunicanti che raggiungono la lunghezza totale di 18 km.
Il sistema carsico è orientato in direzione Sud Ovest-Nord Est, nelle viscere del monte S’Ospile con tre ingressi che si aprono a quote diverse, particolarità questa che crea differenze di pressione: ecco spiegato come grazie ad una corrente d’aria continua, all’interno ed in qualsiasi stagione anche a prescindere dalle condizioni climatiche esterne, la temperatura rimanga costante a 16/18 gradi.
Proprio all’imboccatura dello stretto cunicolo dell’Abisso delle Vergini, non praticabile dal pubblico, è anche presente una targa alla memoria dello speleologo piemontese Eraldo Saracco che nel 1965 perse la vita precipitando all’interno del cunicolo.
Dentro la grotta non c’è praticamente vita, sono presenti solo pochissimi esemplari di piccolissimi pipistrelli ed a causa delle luci che servono all’illuminazione dell’interno e che emanano calore, c’è qualche piccolissima formazione di muschio; insomma un posto davvero incantato che racconta della storia geologica antichissima della Sardegna dove tutto si è fermato e cristallizzato per lasciare testimonianza perpetua ai posteri, di un passato davvero lontano.
Alberto Porcu Zanda