“Ma quanti comunisti”. Andrea Pennacchi si presenta così nella prima serata al Teatro Massimo con il suo “Pojana e i suoi fratelli”. A metà strada fra un stand’ up comedy e un monologo a 360°, lo spettacolo inserito nella rassegna “Pezzi Unici ” di Cedac, parla di Veneto e dei veneti. A rendere il tutto più rock, Giorgio Gobbo alla chitarra e Gianluca Segato alla tastiera,
“Alla base di ogni storia c’è un trauma. E’ chi meglio del popolo veneto può avere quindi una grande storia?” Sulla base di questa premessa, Pennacchi racconta la sua terra attingendo dai fatti reali, lontani e vicini. Dai conquistatori del passato passando per il Tanko, portato in piazza San Marco a Venezia nel 1997 da due giovani indipendentisti.
“Amanti del Rabosello e della carne di cavallo”, “intenditori di metanolo”. Gente che lavora duramente, ma “non brava a trasmettere emozioni”, ultimamente associata a razzismo ed evasione fiscale. Della sua terra e dei suoi conterranei, Pennacchi ne ironizza i difetti. In due ore senza interruzione, questa parte di “Padania” parla attraverso l’ausilio di personaggi semi seri, forse realmente esistenti. Franco Ford, detto il Pojana”, è l’imprenditore che spara ai suoi dipendenti. C’è la Maestra Vittorina, un’insospettabile serial killer. C’è Tonon, l’esperto veneziano di derattizzazione che si butta nel catering. C’è pure Edo, addetto alla security. E poi, semplicemente i “mona, individui contro i quali persino gli dei lottano invano”.
E’ un racconto riuscito che, fra italiano e dialetto, fa respirare la provincia del nordest, con le sue osterie e i suoi capannoni, i trattori e le ville. Un’idea di quel Veneto che “se te mori, xe peso par ti”.
Foto di Dietrich Steinmetz