In una delle sale del Teatro Massimo, Pierfrancesco Favino incontra il pubblico cagliaritano per presentare il suo adattamento teatrale de “La notte poco prima delle foreste”, un’opera scritta dal drammaturgo francese Bernard Marie Koltès nel 1977 e già affrontata con un appassionato monologo nella scorsa edizione del Festival di Sanremo.
“Sanremo è stata una esperienza meravigliosa ma per me esiste un prima e un dopo. E’ un po’ come quando torni con lo stesso gruppo in vacanza ma non è la stessa cosa Ho fatto gli auguri a Baglioni ma io faccio l’attore. Se avrà bisogno di me, sarò felice di andarlo a trovare.” L’interpretazione sul palco dell’Ariston suscitò tante emozioni a cui si contrapposero anche diverse critiche da parte di alcuni schieramenti politici: “Dovevamo fare una canzone di Fossati ma questa cosa non si è verificata. Io ho detto: c’è questo. Il tema dell’opera non è l’immigrazione ma l’estraneità anche con la carta d’identità e il passaporto. Non c’è stato nessun ragionamento politico ma semplicemente un ragionamento artistico.”
Diplomatosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma, “il Libanese” del Romanzo Criminale, sul testo scelto per l’ultimo lavoro, dice: “Ci sono talmente dentro che non mi rendo conto che non è fra i più facili. Io credo che la preparazione di un attore si verifica ogni giorno in quello che vuoi comunicare. Per me è più semplice fare Kontèss che dire dirige Vesicchio. E’ un testo che parla di un uomo e per questo che faccio il mestiere dell’attore. Mi piace mettermi nei panni di un uomo che dica io sono uno e che lo dica uno che viene dall’Algeria, dagli Stati Uniti o dal Triveneto, per me è lo stesso”.
Nelle quattro serate cagliaritane sold out del Massimo (dal 10 al 13 gennaio), Favino intende confermare la sua condotta teatrale dove esiste il coinvolgimento del pubblico: “Preferisco essere insieme a qualcuno e questo è un testo che si fa insieme al pubblico. A me interessa il teatro fatto in mezzo alle persone”.
Le stesse due figlie, nate dalla relazione con la collega Anna Ferzetti, vivono il mestiere del padre con partecipazione: “Durante le prove di uno spettacolo c’era una atmosfera di festa. I bambini giocavano e in un angolo ripetevano le prove meglio di noi. Le mie figlie non guardano i miei film e comunque non vivono l’ossessione di essere figlie di attori. Facciamo le file per le bollette, andiamo a fare la spesa e le porto a scuola quando posso”.
L’ allievo di Luca Ronconi e di Orazio Costa, rivendica le sue origini artistiche e il suo percorso formativo: “Io vengo dal teatro e il cinema mi piaceva tantissimo ma non pensavo di arrivarci. L’origine di questo mestiere è il teatro e in generale penso che chi viene da esso riesce a fare cinema e non viceversa”. Ecco perchè autodefinendosi un attore “carnale” ed “estremamente orgoglioso” della sua gavetta, afferma: ”Ho bisogno di sporcarmi le mani, di non stare a sentire un suono, mi devo sorprendere e ho una ossessione per la lettura dei testi”.
Non è dunque un caso se a teatro, cinema, televisione, pubblicità, si somma la carica di direttore della scuola fiorentina “L’Oltrarno” destinata a sedici aspiranti attori che “non hanno genitori disposti a pagare la rata mensile di una scuola teatrale. Ringraziando Dio, il talento si nasconde anche nelle montagne. Ai ragazzi sto cercando di dare una educazione teatrale come quella delle scuole presenti all’estero. Io non insegno perché non è detto che essere un attore decente significa essere un insegnante decente. Meglio affidare il compito a chi ha scelto di insegnare “.
Concluso il primo triennio della prima edizione, il nuovo corso conferma l’idea di fondo: “La cosa molto bella è che i ragazzi sappiano di avere una voce. Detesto che i ragazzi siano solo dei clienti, trattati come stupidi. Quando vengono ascoltati, mi interessa che abbiano la capacità e la tecnica per quello che interessa a loro e non a me”.
“Raramente – conclude l’attore – mi è stato detto devi essere tu. Il mondo ha bisogno di personalità e non di cloni. Io credo nei ragazzi perché credo che i ragazzi possano insegnarmi qualcosa”.
foto di Maura Atzeni