Se qualcuno chiedesse come fa Venezia, prezioso gioiello dell’umanità, a sopravvivere oggi la prima risposta ovvia, seppur svilente, sarebbe il turismo.
Con il passare degli anni i cittadini hanno visto la loro casa svuotarsi: bar, negozi storici e luoghi dai forti sapori veneziani stanno scomparendo per favorire attività circoscritte alla sfera turistica e tutto quello che possono fare i residenti è stare a guardare mentre viene compiuto uno scempio senza precedenti.
Nonostante la presenza sempre più opprimente e spersonalizzante di questo fenomeno, si deve tener conto che dietro al fardello dei turisti che pascolano per la città come mucche impazzite, si trova una comunità che ancora sopravvive ed è operosa e agitata.
La città è piccola e gli abitanti ormai sono circa cinquantamila. Si conoscono bene o male tutti ma nel traffico lagunare si respira più quieto vivere che serenità e rispetto. Da sempre devono quotidianamente convivere, insieme ai mezzi pubblici, due realtà molto diverse e in contrasto tra loro: quella del trasporto persone che si occupa principalmente del trasporto via mare dei numerosi turisti (taxi) e che fa parte del floklore veneziano (gondole) e quella del trasporto cose che tiene letteralmente in piedi la città.
365 giorni l’anno per 24 ore al giorno, uomini dai 18 (o addirittura 16) ai 60 anni svolgono il lavoro più duro e importante per l’isola. Le numerose ditte di trasporti, che sono quasi un centinaio, hanno il compito di rifornire la comunità di qualsiasi bene. Banche, ospedali, farmacie, ristoranti, negozi, edicole e qualsiasi altra attività funzionano unicamente grazie a loro e, nonostante sia largamente condiviso il fatto che il servizio che svolgono sia l’unico veramente indispensabile, sono i taxisti e i gondolieri a ottenere maggiore visibilità e compensi più alti. Mentre i trasportatori vengono costantemente sminuiti.
Questo è un lavoro duro e pericoloso e la sanità mentale e fisica dei lavoratori è messa costantemente a dura prova da fattori di stress di varia natura: dal clima alla gestione del mezzo, dagli ormeggi distrutti o mancanti alla precarietà dei supporti di sicurezza, chi dovrebbe occuparsi della loro tutela non ha idea delle condizioni a cui sono costretti, la Giunta Comunale continua a dichiarare di non avere fondi per sistemare ciò che a pezzi e che intralcia le attività e le forze dell’ordine si accaniscono con multe salate e spesso inutili. Essendo una città unica nel suo genere Venezia gioca secondo le proprie regole. Bisogna perciò abbandonare la concezione che si ha sulla terra ferma dei trasporti e concentrarsi sullo stile di vita che offre l’isola e che influisce inevitabilmente sul lavoro.
Il concetto è sempre lo stesso: si deve rifornire la città di qualsiasi bene abbia bisogno. Ma cosa succede quando le strade diventano canali e le macchine barche? Si allungano i tempi e aumenta la manualità che occorre per svolgere il lavoro: un trasportatore si sposta via mare, più o meno lentamente, poi attracca e scarica le merci manualmente; padre della camminata veneziana, veloce e mirata, percorre in media 10km al giorno trasportando a mano, avanti e indietro per la città, continuamente su e giù per i (nponti), carri che possono arrivare a pesare più di 100kg, nonostante il Decreto Legislativo 626/94 vieti il carico/scarico di pesi superiori ai 30kg.
Infatti, data l’unicità e la complessità della vita veneziana, è in parte impossibile applicare alla città le leggi comunitarie europee sul lavoro. Venezia necessita di regole particolari, ma poichè sono quasi totalmente inesistenti i lavoratori hanno imparato ad autogestirsi, ma la loro è una sopravvivenza tutt’altro che comoda: i trasportatori sono esposti a ogni sorta di pericolo eppure solo il 5% di loro utilizza l’attrezzatura di sicurezza obbligatoria (guanti, caschi, scarpe antinfortinustiche, cuffie antirumore). Questo accade non solo per l’assenza di controlli, ma, soprattutto, perchè questa attrezzatura mina la praticità del lavoro e se essa viene a mancare si va in contro alla possibilità di gravi infortuni. La chiave per sopravvivere è l’esperienza poichè l’atteggiamento che si matura è una conseguenza del lavoro e del mondo particolare in cui i trasportatori hanno vissuto: la così detta “vita di strada”, vissuta dalla maggior parte dei trasportatori più anziani, adattata al contesto lagunare ha dato loro, fin da bambini, gli strumenti migliori per rapportarsi con la barca e tutto il mondo che la circonda, che non sempre è idilliaco. Per questo le nuove generazioni faticano a resistere in un ambiente dove manualità e velocità sono sovrane e non c’è troppo spazio per gli errori.
Fonte ulteriore di stress è anche il rapporto che esiste tra le ditte: nonostante la solidarietà e il rispetto che viene mantenuto tra i trasportatori, l’abusivismo e la concorrenza spietata alimentano una sorta di guerra tra poveri che vince chi propone i prezzi più bassi per i propri servizi.
Da tempo è in corso la lotta dei trasportatori per far riconoscere la loro mansione come usurante. I lavori usuranti sono quelli per cui è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti da misure idonee. Le mansioni usuranti sono stabilite in base alla ridotta aspettativa di vita, all’elevata frequenza di infortuni ed esposizione ad agenti dannosi. Dati i punti evidenziati in precedenza il lavoro del motorista dovrebbe risultare idoneo a tale riconoscimento, eppure non è così: i trasportatori non sono tutelati e la loro attività viene considerata come dovuta e naturale. Questo implica che per loro non è prevista la pensione anticipata ed è per questo che c’è chi ancora a cinquanta o sessant’anni guida e scarrozza i carri pesanti in ogni parte dell’isola qualsiasi siano le condizioni climatiche.
Nessuno riconosce, nè umanamente nè materialmente, che le condizioni di lavoro, per le quali c’è un disinteresse quasi totale, sono disagianti e pesanti e allo stesso tempo viene a mancare il dovuto rispetto sia da parte delle alte sfere che governano l’isola sia dai cittadini stessi che, sempre più spesso, snobbano e guardano dall’alto al basso chi consegna i loro costosi pacchi considerandoli una manica di ignoranti e sbandati.
In loro aiuto solo i sindacati e l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) ma anche in questi casi l’omertà regna sovrana: c’è chi non dichiara gli infortuni per non mettere la ditta in brutte situazioni e sul versante di scioperi e proteste ogni sforzo è inutile. Si potrebbe pensare che, come tutti, anche i trasportatori abbiano il diritto di incrociare le braccia, scioperare e pretendere a gran voce ciò che gli spetta, ma ancora una volta la realtà dei fatti è molto diversa. Uno sciopero e quindi il blocco di qualsiasi tipo di consegna, come abbiamo già detto più volte, metterebbe Venezia in ginocchio: gli scioperi ci sono e vengono fatti, ma sono tutt’al più pilotati, nel senso che vengono organizzati a tavolino e comunicati precedentemente al comune così che i rifornimenti possano essere consegnati in anticipo, limitando, se non addirittura annullando, i danni che provocherebbe un vero e proprio sciopero e la possibilità di ottenere la visibilità, rispetto e considerazione. Tutto questo è inutile, se non addirittura umiliante per i trasportatori e se qualcosa non cambia, se nessuno apre gli occhi, se per preservare la bella facciata nessuno tutela, preserva o investe sui trasportatori che sono il cuore di questa città, che amano, vivono e rispettano, e che svolgono il loro lavoro con passione e attenzione, nonostante le avversità, i veneziani e la venezianità sono destinati a estinguersi e Venezia, svuotata della sua linfa vitale, resterebbe solo una bella cartolina.
Beatrice Corbetti