Mysterion propone al suo pubblico la lettura di una lettera scritta dal Dr. Giampiero Lombardini, docente di Urbanistica all’Università di Genova, rivolta ai suoi studenti. Come il lettore ha sicuramente capito rammentando il titolo di questo articolo, al centro del discorso affrontato in questa lettera aperta c’è Venezia, che si trova in queste ore purtroppo alle prese con il più grave allagamento dal 1966 non solo a causa del maltempo, che imperversa in questa prima decade novembrina sulla nostra penisola. Precede la missiva una premessa che illustra quali sono stati i principali interventi infrastrutturali che hanno modificato profondamente il paesaggio lagunare negli ultimi cento anni. Chiudo questa mia breve introduzione specificando che a mio avviso questi disastri naturali e idrogeologici che negli ultimi decenni hanno martoriato l’Italia sono il segno di una deriva culturale, politica, economica e sociale che sta trascinando il Paese in un baratro profondo e privo di facili uscite. Oggi è toccato a Venezia, a Matera e a Gallipoli, ieri ad Amatrice, a Olbia, a Genova, a Capoterra, a Catania ecc. Ciò per indicare che per me non esistono due Italie. Ringrazio infine il professore e Simone Lombardini per il suo suggerimento di pubblicare parole toccanti e belle, che uso estendendole ad ogni meravigliosa città italiana.
VENEZIA: UNA FRAGILITA’ CONGENITA CURATA PER SECOLI MA TRASCURATA NELL’ULTIMO SECOLO
Quando si pensa a Venezia, si pensa alla straordinaria città sull’acqua che tutti conosciamo. Ma in realtà Venezia, dal punto di vista ambientale-ecologico, storico, urbanistico è molto di più. Venezia ha sempre vissuto, fin da quando ha cominciato ad essere stabilmente popolata (VIII – IX secolo a.C.), in simbiosi con la grandissima Laguna (550 kmq) al centro della quale è collocata. Gli equilibri della Laguna (le sue maree, il ricambio idrico – vitale per i cicli ecologici delle sue isole – il rapporto con il mare Adriatico e con i molti fiumi che vi affluiscono o comunque la lambiscono) sono gli stessi equilibri (delicatissimi) che permettono a Venezia ed ai molti abitati della Laguna di ospitare una forma stabile di insediamento. Le acque della Laguna vanno costantemente governate, perché la Laguna stessa possa rimanere in equilibrio (ogni laguna, in natura, è destinata col passare del tempo a scomparire: o diventa pianura costiera per l’opera di insabbiamento dei fiumi, oppure diventa baia costiera, se a prevalere è la forza erosiva del mare). L’epigrafe fatta scrivere nel ‘500 dall’Umanista Giovanni Battista Cipelli – conosciuto col nome accademico di Egnazio – scolpita su una lastra di marmo collocata oggi al Museo Correr in San Marco, ma originariamente murata dietro gli stalli dell’antica sede del Magistrato alle Acque, evoca molto chiaramente (e con lucidità straordinaria a 500 anni di distanza) che l’acqua è il bene pubblico assoluto di Venezia, rispetto al quale tutte le azioni individuali devono essere piegate: “La città dei Veneti per volere della Divina Provvidenza fondata sulle acque, circondata dalle acque è protetta da acque in luogo di mura: chiunque pertanto oserà arrecare danno in qualsiasi modo alle acque pubbliche sia condannato come nemico della Patria e sia punito non meno gravemente di colui che abbia violato le sante mura della Patria. Il diritto di questo Editto sia immutabile e perpetuo”.
Venezia rappresenta oggi un caso unico al mondo perché la sua fragilità è emblema delle difficoltà che abbiamo – a tutti i livelli – a instaurare un rapporto equilibrato e fruttuoso con l’ambiente. Abbiamo perso gli strumenti e le sensibilità per vivere in armonia con l’ambiente e la Natura, e questo è paradossale, se si pensa a quanti passi avanti abbia fatto la conoscenza scientifica nell’epoca moderna. Per questo Venezia ci sfida a ripensare il nostro modo di stare nell’ambiente (e tra di noi). Per questo, oltre che per le straordinarie testimonianze architettonico-urbanistiche di Venezia e delle sue isole, avevo pensato di organizzare un viaggio di studio nella città lagunare.
La storia degli ultimi 100 anni di Venezia è fatta di tanti errori. Gli interventi nella laguna veneta in questo periodo non hanno riguardato solo il MOSE (MOdulo Sperimentale Elettro-meccanico), che tutti a questo punto ci auguriamo entri in funzione appena possibile e risulti di una qualche efficacia, ma una serie di altre operazioni che hanno modificato profondamente gli antichi equilibri lagunari (mantenuti tali, con grandi sforzi e sacrifici, dai Veneziani per oltre 1.000 anni). I vastissimi interramenti per realizzare il più grande polo petrolchimico d’Italia (e uno dei più grandi d’Europa) a Porto Marghera ne sono un esempio, come sono un esempio gli interventi per lo scavo dei canali per far transitare le grandi navi (prima quelle mercantili, più recentemente anche quelle crocieristiche), oppure gli interventi alle bocche di porto (le delicate “porte” tra Laguna e Mare Adriatico). Un secolo di grandi e spesso dissennati interventi che hanno compromesso gli antichi equilibri (solo la dimensione in metri cubi del solco scavato per il canale portuale è tale da aver modificato radicalmente il rapporto laguna-mare).
L’episodio che pose drammaticamente all’opinione pubblica italiana (e mondiale, data la risonanza suscitata dal fatto) il tema della salvaguardia di Venezia fu la “alluvione” del 4 novembre 1966, quando un’eccezionale “acqua alta” di 194 cm (giovedì scorso abbiamo toccato i 187 cm) sul livello del medio mare, che a Venezia è misurato storicamente da una speciale stazione collocata a Punta della Dogana, determinò l’allagamento dell’intero centro storico. Per “acqua alta”, si intende un fenomeno di innalzamento delle acque all’interno della laguna che supera i 110 cm sul livello medio del mare. Con tale livello il 12% di Venezia si allaga (a cominciare da Piazza San Marco e Rialto che sono i due punti dove la pavimentazione è più bassa). Con 120 cm si allaga il 28%, con 140 cm il 59% e sopra i 160 cm il 77%. Il fenomeno dell’acqua alta è causato dal concomitante effetto del ciclo lunare (che condiziona le maree), dalle condizioni meteo-climatiche (pressione atmosferica e intensità dei venti, oltre che valori pluviometrici di precipitazioni), dalle condizioni dei fiumi (apporto in condizioni di piena) e dal mare (forza del moto-ondoso e sua direzione). Dal 1875 (primo anno di misurazione ufficiale) ad oggi gli eventi definibili come “acqua alta” sono stati meno di 4 l’anno fino al 1959, ma dal 1960 si è registrato un continuo aumento della frequenza annua di tale fenomeno, fino ad arrivare agli anni più recenti, quando si sono registrati picchi anche superiori ai 10 casi per anno con picchi superiori ai 12. Le “alte maree eccezionali” (ossia innalzamenti superiori a 140 cm, ossia 59 % del centro storico allagato) si sono registrati con questa frequenza:
decennio 1930-1940: 1
decennio 1950-1960: 1
decennio 1950-1980: 3
decennio 1970-1980: 2
decennio 1980-1990: 1
decennio 1990-2000: 1
decennio 2000-2010: 4
decennio 2010-2018: 6
Solo anno 2019: 4 (in una stessa settimana!!)
Per quanto riguarda gli effetti, si deve tener conto che con maree superiori ai 140 cm gran parte del centro si allaga, con danni ai muri, alle pavimentazioni, agli arredi e agli impianti oltre che sospensione delle attività e gravi problemi di accessibilità e mobilità. L’acqua che invade Venezia è poi salmastra, quindi quando si ritira lascia componenti saline impregnate all’interno dei muri con grave pregiudizio delle condizioni fisico-meccaniche delle strutture (gli edifici più alti e in particolare i campanili devono essere monitorati costantemente e comunque desalinizzati con costose e laboriose operazioni dopo un certo ripetersi del fenomeno). C’è da tener conto poi del fenomeno contrario all’acqua alta e cioè le “acque basse”, che si verificano in periodi di bassa marea e in particolare in estate. Altro grave problema (igienico e di mobilità in primo luogo) che deriva da un governo delle acque che ha perso l’antica sapienza ambientale.
VENEZIA MUORE,
E sembra non restarci altro che guardare questo disastro (l’ennesimo, non il primo, non quello imprevisto, di certo non l’ultimo). Ma è
proprio così?
Quando vi avevo annunciato che avrei voluto organizzare un viaggio di studio a Venezia, vi avevo detto un po’
ironicamente: “prima che affondi e scompaia del tutto”. Certo una battuta, ma un piccolo brivido mi era sceso proprio mentre lo dicevo. Perché avevo la netta sensazione che non era, non poteva drammaticamente essere, solo uno scherzo, una boutade. Troppo fragile quell’ambiente lagunare fatto di rapporti delicatissimi, di fili sottilissimi ed esili che legano tra loro acqua, terra (poca e malferma), maree, evento meteo-atmosferici, cicli lunari. La Laguna troppe volte in passato si era mostrata per quello che in effetti è: un ambiente tendenzialmente ostile ed inospitale per accogliere l’uomo.
Un ambiente che richiede perciò, per vincere questa strutturale inospitalità, un’attenzione e una cura maniacali che sole, assieme ad un amore per la “terra”, in grado di garantire una qualche forma di vita umana stabile. Un ambiente che richiede un rispetto rigoroso, quasi assoluto, direi quasi religioso. E di fronte a tutto questo, mentre pensavo ad organizzare il nostro viaggio, mi dicevo: troppo fragili le nostre volontà, incerte e precarie le nostre conoscenze, deboli i nostri spiriti, come la (sterminata) letteratura su Venezia ci ha puntualmente raccontato. Gli spiriti di noi italiani, intendo dire, che di Venezia dovremmo occuparci ed amarla tutti, perché emblema e simbolo e materialità ad un tempo della nostra unica, irripetibile Patria che i nostri avi ci hanno lasciato così ricca di straordinarie bellezze.
Tutto questo pensavo mentre organizzavo il viaggio che di lì a poco avremmo fatto insieme, voi, Andrea ed io.
Dicendomi: è cosa buona e spero utile che i nostri giovani studenti, all’inizio o poco più del loro percorso entrino in
contatto con questo mondo così straordinario e al contempo così fragile, formidabile esempio di quanto sia difficile eppure affascinante provare a stabilire una relazione di simbiosi creativa con l’ambiente (in uno degli ambienti, appunto, più “difficili” che la storia della città possa annoverare tra i suoi casi estremi). Perché è una lezione “vivente” di quanto sia precario il nostro vagare per la Terra e quanto fragili le nostre pur straordinarie arti che accompagnano le esistenze di ciascuno di noi come di ciascuna civiltà; perché abbiamo sempre voluto dire e dirci, fin da quando riparavamo insicuri nelle caverne, che l’esistenza umana non è solo terra e fatica e dolore. E con quale straordinaria bellezza queste arti si sono sviluppate a Venezia, dalle pietre delle case (anzi: dalle pietre delle fondamenta delle case), fino ai soffitti sublimemente affrescati, ai pavimenti finemente intarsiati, alle quadrerie di artisti che il mondo intero ha riconosciuto tra i più grandi. Quasi a voler dire che lì, sì proprio lì, dove la vita comunitaria e urbana emerge dalle più difficili condizioni, è più urgente e necessario affermare la forza del nostro spirito.
E così siamo partiti (sotto un diluvio, ovviamente) e dopo poco Venezia mi è (e ci è) apparsa così, qualche sabato fa
(ero con un gruppo di voi in quel momento, ma anche gli altri avranno di certo visto spalancarsi davanti ai propri occhi un quadro simile). Quel tramonto, con tutte le tinte dei rossi e dei viola e dei gialli che si adagiavano dolcemente,
mescolati insieme come nemmeno il miglior Tintoretto sarebbe stato capace, sui tetti, le cupole, le calli, le acque del bacino di San Marco, come un grande, leggerissimo mantello quasi trasparente. A dare colore e vita ad ogni più recondita piega o angolo della città e delle sue acque.
Poi…
Poi come sapete, dopo la vostra partenza, io mi sono ancora fermato un paio di giorni e quando poi anch’io al martedì ho ripreso a mia volta la strada che mi riportava a Genova, aveva cominciato a piovere. Non so se da quel sabato di ottobre Venezia abbia in realtà più visto il sole, per il susseguirsi continuo di perturbazioni metereologiche che ha caratterizzato questo periodo. Quell’incanto allora, ho appreso con lo stupore contrito simile a quello di un bambino, era svanito: solo di un attimo si era trattato. Un quadro di serenità e bellezza che si è dissolto prima nelle brume nebbiose dei giorni novembrini per culminare infine ieri notte nella tromba marina che ha devastato l’area marciana.
La Basilica sott’acqua, la cripta totalmente sommersa, l’intero centro storico allagato, in diversi punti con altezze superiori al metro, negozi e arredi distrutti, Piazza San Marco trasformata in un’orrenda piscina a cielo aperto. È così: Venezia si è mostrata, forse, per l’ennesima volta, come ce l’aveva raccontata George Simmel: una città maschera. Una città la cui straordinaria bellezza, fondata su un’estetica tanto sopraffina quanto multiforme e molteplice negli stili dei suoi ornamenti, nasconde in realtà la drammaticità del suo essere perennemente instabile, precaria, in fin dei conti così improbabile nel suo esistere da sembrare quasi un’invenzione. E così quel tramonto dalle tinte struggenti altro non era che un attimo di felicità che gli eventi successivi hanno alfine disvelato quale la più tragica delle illusioni, quella della vita che nasconde, con lo strumento della bellezza, la fatica, il dolore e in ultima analisi la morte. Venezia muore dandoci prima l’illusione di una vita straordinaria. Ma se muore Venezia, non è (solo) per gli eventi della natura, per la rivincita che quell’ambiente ostile sembra riprendersi con chi ha osato sfidarlo con la sua bellezza. Se Venezia muore è per i tanti troppi errori che tanti uomini hanno fatto. Per la nostra incuria, la nostra superbia nel saper dominare la Natura, per esserci a nostra volta illusi per mezzo della nostra scienza (in realtà assai incerta) e della nostra coscienza (indegna troppo spesso di stare al cospetto di tanta fragile bellezza). Io voglio continuare a credere che Venezia potrà invece continuare a vivere; che anche questa sciagura, così simile a quella del 1966 che tanto scalpore suscitò (ma in tutti i decenni successivi cosa si è fatto, se lo stesso disastro si è ripetuto praticamente identico?), potrà essere riparata e alfine superata. Perché sono all’Università, sento che questo è il mio dovere e il mio lavoro: studiare e lavorare coi colleghi e con voi giovani perché la Bellezza, l’Arte, la Natura non siano solo un’illusione di un sabato declinante verso un tramonto sublime ma passeggero.
Giampiero Lombardini
Giampiero Lombardini, nato a Firenze, vive attualmente a Genova.
Ha conseguito la laurea in Architettura presso l’Università degli Studi di Genova. Dottorato di ricerca in
“Tecnica Urbanistica” (settore (ICAR 20) presso l’Università degli Studi di Roma “ La Sapienza ”. Tutor: prof. Enzo Scandurra, co-tutors: prof. M. Besio prof. M. Frixione. Titolo della tesi: “Forme di rappresentazione della metamorfosi urbana. Contributi per una teoria spaziale dell’insediamento”. Ha infine conseguito la laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale presso l’Istituto Universitario di Venezia (IUAV). Attualmente è professore di Urbanistica del corso di Laurea Magistrale in Architettura all’Università di Genova.
Riferimenti audiovisivi relativi alla premessa:
Alcuni link:
Un filmato sugli interventi previsti con il MOSE.
Filmato Mose
Il sito del Consorzio Venezia Nuova ricco di informazioni e documenti:
CVN
Un racconto di cosa è la Laguna di Venezia di Edoardo Salzano, grande conoscitore dei fatti, mancato qualche settimana fa:
Salzano
Intervista al professor D’Alpaos altro grande conoscitore delle cose veneziane:
D’Alpaos
Lungo intervento scientifico sempre di D’Alpaos, ma racconta tutto quello che c’è da sapere (è su YouTube, quindi pubblico):
D’Alpaos intervento
Enrico Sanna – autore e curatore di “Mysterion”